Stupisce e impressiona per la profondità delle intuizioni l’ultimo lavoro dello psicoanalista Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?, in libreria per i tipi di Raffaello Cortina.
Va ben al di là delle mie competenze valutare l’interpretazione di Lacan che nutre e sostiene il pensiero dell’autore. Ciò che vorrei qui considerare è soltanto una piccola parte del libro, che però è una finestra utile per cogliere l’insieme della proposta di Recalcati. Si tratta di uno degli esempi letterari preso come “testimone” alla fine del libro, la figura del padre ne La strada di Cormac McCarthy. Recalcati sintetizza così la lezione che quel padre ci consegna, attraverso il suo testimoniare la speranza, il suo “portare il fuoco”: “La vita non è sopraffazione, non è lotta per il trionfo del più forte, non è violenza cieca. La vita è dedizione, cura, presenza. La dedizione di un padre a un figlio. L’amore non è amore della vita, non è amore per il mondo. L’amore è amore del nome, è amore per un nome proprio, per il più particolare, è amore di un padre per un figlio. Non è mai amore per l’universale.” (p. 162). Nella pagina seguente, l’autore rivendica fra le righe una novità di questa posizione rispetto alla tradizione cristiana: ormai “Il verbo esiste solo per il tramite di un bambino. Non è più ciò che redime e giustifica la vita, non è più ciò che può salvare il mondo, ma è ciò che può continuare a esistere solo tramite la singolarità di una vita.” (p. 163). L’autore conclude la sua interpretazione di McCarthy con un decalogo minimalista: “…qualcosa che resiste, che non cede sul proprio desiderio, a qualcosa, un resto di padre che, anche nello sfacelo e nella decomposizione nichilistica di tutti i valori, insiste a trasmettere col fuoco la vita come possibile. Non uccidere, non mangiare, non violentare l’altro uomo. Quel che resta del padre è l’essere portatore del fuoco nella buia notte di un mondo senza Dio.” (p. 168).
Proprio questo ci ha commossi ne La strada. Il mondo è più brutto, vissuto senza donazione. L’egoismo non ci compie. Con Recalcati, sono convinto anch’io che sia meglio, più conveniente per sé e per gli altri, vivere la gratuità, anche fosse in assenza di alcuna giustificazione trascendente.



Ma mi domando se la bellezza seducente dell’affermare l’altro nonostante tutto, “nella buia notte di un mondo senza Dio”, non possa anche nascondere una sottile falsità. Questo altruismo sembra avere bisogno della scenografia di un mondo disperato e brutale. Altrimenti, il suo sforzo nobile e tragico non risalterebbe. Ma chi mi dice che il mio stringere i denti e fare le veci del Padreterno assente non sia in realtà il mio bisogno di sentirmi eroe?
La risposta a questa domanda sta nell’esperienza del sacrificio per amore, tema purtroppo sottosviluppato nel libro di Recalcati. Egli arriva alla soglia del problema nelle ultime pagine, dedicate al film di Clint Eastwood, Gran Torino, ma non lo affronta.
Non insisto su questo punto per un senso di militante conservatorismo, ma perché è singolare come Recalcati rifiuti il Dio cristiano e proceda a farne un ritratto per tanti aspetti preciso, commovente, e desiderabile.
Sembra che l’assioma tanto ripetuto del “cielo vuoto” sia semplicemente una opinione dell’autore che ha poco a che fare con il contenuto della sua proposta. Siamo d’accordo praticamente su tutto: meno male che il cielo non contiene la terribile presenza del dio di Sartre o di un padre-tiranno come Zeus. Ha ragione, è molto suggestivo descrivere il padre, con Lacan, come colui che unisce desiderio e Legge. E’ fondamentale l’esperienza del limite e del fallimento, così come è fondamentale sperimentare la vita come mistero sovrabbondante, e vivere sia l’erranza che l’appartenenza, richiamati dall’autore con un riferimento al figlio prodigo.



Ma chi l’ha detto che non ci sia un legame forte e reale tra la donazione di un povero padre perso nelle macerie post-apocalittiche, e la somma gratuità del Padre creatore? Perché non affermare anche questa possibilità? Essa esalta, non elimina, la bellezza della “singolarità di una vita”.
Mi colpisce che ciò che Recalcati propone e desidera è proprio ciò che Gesù ha fatto. Egli non ha risolto i problemi. L’Onnipotente non ha spadroneggiato la propria potenza, ma si è umiliato e si è comunicato a poche vite singole, gli apostoli.
Non ha illuminato la notte con una magica soluzione deus ex machina. Piuttosto ci ha trasmesso il fuoco della carità, ciò che rende la vita possibile e bellissima, anche quando viene interamente vissuta nella valle oscura del mondo ipermoderno. Tu sei con me: non temerò alcun male. Soprattutto non temerò che domani sia inevitabilmente peggio di oggi. Quel fuoco che Tu mi hai acceso potrà passare non solo a un figlio, ma a due, forse tre. Ci vorrà del tempo, ma così nascerà un popolo luminoso.

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