E l’esistenza diventa un’immensa certezza. C’è in questo titolo un senso di compiutezza che, di per sé, è tutt’altro che scontato se guardiamo alle diverse parole che lo compongono. Se non avessi letto la relazione di Costantino Esposito avrei detto che si trattava del solito titolo ben costruito confidando soprattutto nella assai dubbia anche se comunicativamente efficace virtù ontologica degli aggettivi. Quell’“immensa” illumina infatti in modo del tutto singolare due sostantivi -“certezza” ed “esistenza”-, i quali, almeno in filosofia, solitamente debbono fare i conti e quasi sottomettersi ad altri sostantivi molto più forti e rassicuranti, quali verità ed essenza.



Costantino Esposito compie invece un mezzo miracolo. Ci prende letteralmente per mano e, alla fine della sua relazione, ci restituisce il senso di compiutezza del titolo come l’esito di argomentazioni belle e convincenti. Un po’ come ha notato anche Enrico Berti, alla fine siamo certi che certezza e verità vanno insieme e che la stessa esistenza può diventare appunto un’immensa certezza. Fatta questa premessa, vorrei soffermare la mia attenzione su un punto della relazione di Esposito che mi sembra particolarmente significativo, ossia il suo tentativo di porre la certezza dell’esistenza “all’origine”. In un mondo spaesato quale è quello che abitiamo oggi, dove molti intellettuali si trastullano allegramente col nichilismo e molti uomini, specialmente giovani, ne sentono invece i morsi laceranti sulla pelle, Esposito ci dà una salutare frustata.



All’inizio, direi quasi, in principio, abitiamo tutti una indelebile certezza: “Quella di essere voluti e accolti dallo sguardo amoroso di nostra madre e di aver percepito il senso, magari non ancora cosciente ma certamente presente, del nostro esistere naturale suggendo il seno. La certezza che precede ogni incertezza e che a sua volta ogni incertezza clamorosamente attesta, è il fatto che noi siamo venuti all’essere in un rapporto, siamo di qualcuno, e in quanto tali siamo davvero noi stessi. E’ in questa memoria che si apre lo spazio di senso del nostro bisogno di certezza”.

Traggo da queste bellissime parole due riflessioni strettamente connesse tra loro. La prima riguarda la natura relazionale dell’uomo, anzi la sua natura familiare. L’uomo è un animale familiare e, in quanto tale, egli ha un costitutivo bisogno di familiarizzare col mondo, di sentircisi a casa. Vi arriva senza averlo scelto e lo trova spesso pieno di dolore, insidie, incertezze. Grande è dunque la tentazione di dire che vi arrivi “gettato” dal caso. Ma il seno di nostra madre, come dice Esposito, ci salva da questa insensatezza. Quand’anche la durezza della vita ce lo faccia dimenticare, tutti siamo stati una perla in uno scrigno. Precisamente questa relazione è la nostra certezza originaria, quella che continuamente ricerchiamo nel mondo che abitiamo.



La costruzione di sé, di cui oggi tanto si parla, la nostra incessante ricerca della felicità implicano in fondo questa certezza, potremmo anche dire che sono tanti modi di ricostruirla. Ma, e qui inserisco la mia seconda riflessione, quest’opera di ricostruzione, che è sempre una sorta di opera di “riconciliazione” con il mondo nel quale siamo arrivati, non si realizza mai in solitudine. Abbiamo bisogno degli altri; soprattutto abbiamo bisogno di educazione. Ne abbiamo bisogno, non per diventare buoni cattolici, buoni cittadini o per imparare un mestiere, ma semplicemente per ritrovare la nostra strada nel mondo, la nostra certezza, appunto, e diventare ciò che siamo: uomini, diciamo pure, persone, la cui irripetibile unicità si esprime sempre in un tessuto di relazioni costitutive; persone che tanto più avranno sperimentato la “grazia” di essere state guardate con amore da altre persone (che cos’è l’educazione, se non questo?!), e tanto più sapranno districarsi nel mare della vita.

Va da sé, e Costantino Esposito lo ha mostrato molto bene, stiamo parlando di una certezza che non è quella degli “uomini sodi” di cui parlava Pirandello, dove la durezza, le inquietudini e le contraddizioni della nostra esistenza vengono tutte sopite. Al contrario. Parliamo di una certezza che per certi versi addirittura le esaspera, consentendoci anche di affrontarle senza paura, senza disperazione e anzi col sorriso. Non so neanche perché, ma è proprio al sorriso che mi fa pensare questa certezza.

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