Tra un mese apre a Londra, alla National Gallery la più importante mostra dell’anno, quella dedicata agli anni milanesi di Leonardo. Una mostra che si annuncia eccezionale per la serie di prestiti che, grazie all’autorevolezza dei promotori, sono stati ottenuti. Resta una punta di rammarico, perché una mostra così avrebbe dovuto venire organizzata a Milano (se n’era parlato con la consueta vaghezza come proposta per l’Expo 2015). Ma a questo punto è inutile lasciarsi andare alle solite geremiadi…



Guardiamo oltre. Anche perché ce n’è un buon motivo. Infatti poco prima dell’estate è uscita un’opera da tanto attesa e che ha i caratteri dell’eccezionalità né più né meno della mostra londinese. Sono quattro grandi volumi con un apparato iconografico straordinario che raccolgono tutti gli studi realizzati da uno dei maggiori storici dell’arte italiani, Alessandro Ballarin, su Leonardo a Milano. È un’opera monumentale anche nelle dimensioni (sono 2900 pagine), affascinante per la completezza di sguardo e in molte parti anche molto avvincente come lettura. È un’opera che scioglie molti misteri che circondano quella lunghissima permanenza di Leonardo alla corte del Moro (ben 17 anni anni, cui vanno aggiunti quelli nella Milano sotto il governatorato francese). Tra i nodi che Ballarin scioglie, con un saggio a tratti davvero appassionante, c’è anche quello delle due Vergini delle Rocce, la prima che oggi è custodita al Louvre e la seconda che è custodita invece alla National Gallery (alla mostra londinese le vedremo fianco a fianco).



Tutt’e due vennero dipinte a Milano e soprattutto per Milano. In particolare sono affascinanti le scoperte che Ballarin ha fatto sulla prima, quella che Leonardo dipinse appena arrivato alla corte del Moro, nel 1483, e che era destinata all’altare maggiore della chiesa di San Gottardo in Corte. Non si trattava di una chiesa qualunque, perché era il cuore del potere visconteo a Milano: era stata costruita da Azzone Visconti come cappella palatina (i Visconti avevano la loro dimora dove c’è l’attuale palazzo Reale milanese, prima di trasferirsi nel Castello Sforzesco). Non solo. Ballarin ha trovato le conferme che quella chiesa era stata voluta da Azzone Visconti con una struttura che originariamente replicava, nella parte del coro, la pianta dell’antico battistero di San Giovanni ad Fontes (quello maschile, dove Ambrogio aveva battezzato Agostino) e che era stato sacrificato per il cantiere del nuovo Duomo: era una nuova “ecclesia fontis”.



Questo spiega perché la prima Vergine delle Rocce, quella oggi parigina, sia da leggere come un’opera che simboleggia la valenza salvifica del Battesimo. L’ambientazione non è un’invenzione gratuita di Leonardo ma si rifà ad un’antica tradizione che raccontava come al ritorno dall’Egitto, Gesù e la Madonna si fossero recati a trovare il cugino Giovanni il quale invece aveva trovato rifugio dagli sgherri di Erode in una grotta, che si era aperta miracolosamente dopo le preghiere di Elisabetta. Era una grotta che permetteva di vedere all’esterno senza esser visti: infatti nel quadro di Leonardo si scorge il magnifico paesaggio in cui scorre il Giordano. Nei racconti dei pellegrini si raccontava come all’interno della grotta zampillasse una fonte, che Leonardo in effetti dipinge al centro della tavola, come dipinge il salice di montagna che sbuca dalle rocce, che in latino si chiama sapsafas (i pellegrini infatti chiamavano il luogo spelunca sapsafas) La celebre mano dell’angelo che da destra indica Giovanni è un’allusione alla promessa del Battesimo che quell’incontro annuncia.

Mi fermo qui. Ma seguendo Ballarin si potrebbe continuare a lungo in una lettura finalmente coerente di questo capolavoro. Quanto all’altra Vergine delle Rocce, venne dipinta da Leonardo qualche anno dopo per i francescani della chiesa di San Francesco Grande, abbattuta a inizi 800 (era vicina all’attuale università Cattolica). Ha tutta un’altra storia, anche lei bellissima. Molto diversa da quello che sin qui si è creduto.

Certo, dà una certa emozione ancor oggi pensare che per 15 anni a Milano ci fossero tutt’e due quei capolavori di Leonardo…

 

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