Nel 1904 arrivarono a Parigi da San Francisco tre fratelli, Leo, Gertrude e Michael Stein. Erano ricchi senza essere dei nababbi, avendo in gestione alcune linee tranviare della loro città d’origne. Ma erano stati letteralmente stregati dall’Europa, in particolare da Firenze dove li legava un’amicizia con Bernard Berenson, il più grande conoscitore dell’arte italiana, e da Parigi, dove si stabilirono. Nel 1903 Leo, il maggiore dei tre, aveva comperato il suo primo Cèzanne. L’anno successivo la collezione si era allargata ad altri post impressionisti. Ma è nel 1905 che gli Stein, con le loro scelte, aprirono clamorosamente un’epoca. Comperarono due capolavori di un pittore spagnolo ventenne, Pablo Picasso, e un quadro straordinario dipinto con colori esplosivi di un altro artista molto più maturo ma ancora poco noto, Henry Matisse. Era solo l’inizio di una raffica di acquisti che nell’arco di pochi anni portò le due case parigine degli Stein, in rue Fleurus e in rue Madame, ad avere qualcosa come una cinquantina di capolavori dell’uno e dell’altro.



Oggi le collezioni degli Stein, che per diverse ragioni conobbero una rapidissima dispersione, sono state rimontate quasi al completo in una mostra assolutamente eccezionale al Grand Palais di Parigi. Anzi, la mostra più che eccezionale è esplosiva, perché racconta l’esplodere di qualcosa di assolutamente nuovo sulla scena dell’arte europea. Picasso e Matisse irrompono sulla scena con la freschezza e l’energia di chi non ha nessun complesso rispetto al passato. Sono quattro, cinque anni in cui si muovono con la baldanza e la spregiudicatezza di chi sta determinando un nuovo inizio. Scoprono e fanno propria la vitalità dell’arte africana, monumentalizzano le forme oppure le caricano di colori, autentici incendi di vitalità.



Agiscono guardandosi l’uno l’altro, inseguendosi grazie al fatto che i loro quadri, appena fatti si trovavano appesi agli stessi muri, quelli degli Stein. È il grande Nudo blu, realizzato da Matisse ad inizio 1907, e immediatamente comperato da Leo e Gertrude, a far scattare in Picasso l’idea delle Demoiselles d’Avignon, il suo capolavoro (oggi al Moma di New York), dipinto nell’autunno di quell’anno. L’accelerazione dei due era stata tale che presto i loro prezzi sarebbero schizzati fuori dalla portata degli stessi Stein (che non comperarono le Demoiselles, ma s’accontentarono di prendere tutti gli studi).



Sono opere che fanno discutere, che irrompono scandalosamente nella Parigi che aveva appena finito di metabolizzare il postimpressionismo. Ma soprattutto sono capolavori che nascono da una sorta di travolgente innamoramento per la realtà.

Matisse e Picasso sembrano agire liberi da ogni soggettivismo, guidati da un’istintività positiva come sgomberata da ogni problematicismo che li porta a produrre opere a raffica, con una felicità che ancora oggi affascina e sorprende. Non è un caso che una delle opere più famose di Matisse entrata nella collezione Stein nel 1906 s’intitolasse La Bonheur de vivre (una tela di quasi tre metri oggi conservata a Filadelfia).

Ma il quadro emblema della collezione Stein è forse un altro Matisse, datato 1905, ed è il ritratto di Madame Matisse “à la raie verte”, con il raggio verde. È un piccolo quadro in cui l’intensità davvero travolgente dei colori comunica l’evidenza di un nuovo che avanza. Tra i colori c’è una linea verde brillante che attraversa il volto, come un riflesso di luce o come eco di uno splendore intravisto. Se si guarda con attenzione  questo quadro si scopre come quella novità che aveva scosso e fatto discutere Parigi, abbia qualcosa d’antico. C’è un’icasticità quasi bizantina in quel capolavoro di Matisse. E vien quasi il dubbio che i colori inseguano lo splendore delle tessere di un mosaico…