Nella tradizione della Chiesa orientale quella di oggi, 21 novembre, è una festa grande, una delle dodici più importanti del calendario liturgico. Da noi in Occidente ha goduto di una certa fama nei secoli passati, ma ora è quasi del tutto sepolta nell’insignificanza. Chi si ricorda che oggi è la Presentazione di Maria al Tempio? E chi, ricordandosene, ha una minima idea di quale ne sia il significato? Evidentemente anche le festività hanno i loro alti e bassi storici e oggi ci risulta poco significativo celebrare il fatto che la piccola Maria, di soli tre anni, sia stata portata dai genitori Gioacchino e Anna al tempio di Gerusalemme, come a dire che quel giovane corpo che doveva accogliere il corpo umano di Dio incarnato si consacra alla sua missione.



Ma non è sul significato teologico della Presentazione che voglio soffermarmi. Piuttosto invito il lettore ad andare sul proprio motore di ricerca preferito (oppure a cliccare qui) e a far comparire sul suo pc il ciclopico dipinto che Tiziano Vecellio ha dedicato a questa festa. Tiziano era, nella potente Venezia del primo Cinquecento, un pittore di enorme successo, conteso dalle principali corti europee e dalla più facoltose casate; non particolarmente devoto, si è tuttavia dedicato anche al soggetto sacro e, magari con l’inconsapevolezza che è tipica del genio, ne ha mostrato aspetti cruciali.



Osserviamo questa Presentazione. La scenografia è imponente: le maestose architetture e lo squarcio sulla natura che si perde in lontananza danno da subito l’idea che ci troviamo di fronte a un evento eccezionalmente rilevante; gli stessi curiosi alle finestre, atteggiati come chi assiste a una parata regale, lo dimostrano. Forse la cosa importante che sta avvenendo riguarda il Sommo Sacerdote con la solenne barba bianca, ritto in cima alla scala nelle sue magnifiche vesti pontificali, accompagnato dal più giovane assistente che sembra un influente cardinale del Rinascimento? Forse l’evento da celebrare ha a che fare con i nobili personaggi ritratti sulla sinistra, che magari sono banchieri, dogi, eruditi disposti a pagare ingenti somme per farsi ritrarre dal grande pittore di successo? Forse c’entrano le matrone in abiti romani ai piedi della scala?



Niente di tutto questo; l’intensificarsi della luce mostra che il fulcro è un altro. È quella piccola bambina vestita di bianco che, graziosamente sollevando un lembo della lunga veste, sale l’ultima rampa di scale verso il Sommo Sacerdote. Che sproporzione! Un apparato scenografico imponente, una folla di personaggi di gran nome o di alto lignaggio mischiati a gente del popolo, colonne, piramidi e montagne; tutto che ruota intorno a una bambinetta che sale una scala.

In Tiziano non c’è più nulla della secca simbologia che le icone bizantine dedicano a questa festa e nemmeno c’è la discreta familiarità con cui Giotto ha raffigurato la stessa scena a Padova. Ma il suo immenso dipinto una cosa ce la dice chiara. E cioè che le forze che fanno la storia non sono prima di tutto quelle del potere, religioso o mondano. Una piccola bambina conta di più. È lei che dirà: «Deposuit potentes de sede», «ha rovesciato i potenti dai troni». Un avvertimento decisivo anche per noi, di fronte all’inesorabile avvicendarsi dei poteri.