Due romanzi brevi di Franz Werfel descrivono ambienti viennesi tra le due guerre. Scritto nel 1926, La morte di un piccolo borghese si svolge nella capitale dell’impero che ha perso con la guerra l’antico prestigio. L’altro romanzo, pubblicato nel 1941, Una scrittura femminile azzurro pallido, si sviluppa alla vigilia dell’Anschluss nell’alta società ancora per poco felice. L’autore nasce nel 1890 a Praga, dove in gioventù ha contatti con Kafka e Brod. Nel 1929 sposa Alma Mahler, la vedova del compositore, con la quale vive a Berlino e a Vienna. Costretto come ebreo a emigrare, nel 1938 ripara in Francia, raggiunge nel 1940 gli Stati Uniti e lì rimane, continuando a scrivere fino alla morte nel 1945.



Il primo dei due romanzi racconta la vita di Karl Fiala, guardiano di un magazzino che ricorda con rimpianto la gloria passata, quando come portiere in livrea apparteneva a suo modo al mondo imperiale, era una parte del tutto, un tassello dell’ordine mondiale che gli Asburgo assicuravano ai loro sudditi. Vive con la moglie, il figlio epilettico e l’arcigna cognata in un modesto alloggio di due locali, dopo aver dovuto venderne uno più grande. Alcuni mobili di pregio sono rimasti a ricordare la passata agiatezza. In un Paese precipitato nella miseria, in preda all’inflazione galoppante, al signor Karl non resta che la speranza di aver agito con oculatezza per garantire alla sua famiglia un modesto reddito: ha investito infatti tutti i suoi risparmi in una polizza assicurativa. Ma il premio può essere pagato solo se la sua morte avverrà dopo una certa data e l’uomo è malato ai polmoni. Decide di farsi ricoverare all’ospedale. Prima di lasciare la sua casa strappa dal calendario che si è procurato un foglio dopo l’altro, fino ad arrivare a quel giorno così decisivo. Non contento, strappa con sempre maggiore fatica altri foglietti, come se su di essi gravasse tutto il suo strazio. La sua malattia in ospedale si rivela più grave del previsto, tanto che i medici prospettano alla moglie una fine rapida per il marito, pur assicurandole che gli avrebbero prestato tutte le cure necessarie. Le cose sembrano precipitare, ma sorprendentemente l’uomo riprende vita e diventa un caso clinico, perché si ostina a non morire, rifiuta la morfina, nutre come può il suo corpo in disfacimento. I suoi parenti attendono. Due giorni dopo la data che si era prefissa, quella della scadenza dell’assicurazione, con un urlo di trionfo Karl Fiala muore. Il figlio ritrova, rovistando sotto il cuscino, un calendario vuoto e i galloni di una divisa.



Il secondo romanzo narra la vicenda di un uomo di successo: Leonida, di cui non viene detto mai il cognome, riceve in eredità da un compagno d’università suicida un frac e con esso fa il suo ingresso nella buona società viennese. Si distingue nella danza, sposa la bella Amelie, erede della ricchissima famiglia Paradini, raggiunge una carica prestigiosa in uno dei più importanti ministeri, è stimato per la sua eleganza e le sue relazioni.

Ma, novello sposo, aveva conquistato e ingannato la giovane studentessa ebrea Vera Wormser. Un giorno riceve tra la sua posta insulsa una lettera vergata in azzurro, con la quale la donna gli chiede una raccomandazione per un giovane e Leo, che mai aveva dimenticato quella passione, si figura di essere interpellato come padre. Non può e non vuole tirarsi indietro, si immagina la confessione che deve a sua moglie, addirittura un’udienza in tribunale per spiegare il caso. E invece, in un gelido incontro con Vera, che a causa delle leggi razziali è costretta ad andare a insegnare a Montevideo, scopre che il giovane è solo il figlio di una amica e che un bimbo, il suo, è morto anni prima di meningite. La vita riprende con le occupazioni consuete; ma l’incontro con la vera donna della sua vita è stata come un’offerta di salvezza, oscura, sommessa, irresoluta ed egli è consapevole di non averla raccolta. Non basta la riuscita per sanare la propria anima guasta.



Nel rigido mondo della Mitteleuropa due uomini combattono la loro lotta, solitari alfieri di una lunga decadenza.