Qualche sera fa ero a cena con un amico cattolico cinese e si chiacchierava della grama situazione e delle incerte prospettive dei fedeli sotto il duro tacco del regime di Pechino. Per confortarlo gli ho ovviamente citato il caso polacco con l’inattesa elezione di Karol Wojtyla e tutto ciò che ne seguì per i cattolici della Vistola anche loro malmessi all’epoca del comunismo. “Eh già, ma un papa cinese chissà quando mai ci sarà…” mi fa l’amico. E allora mi era venuto in mente di regalargli “Il giorno del giudizio”. In questo thriller vaticano infatti è disegnato uno scenario in cui l’elezione al soglio pontificio di un cardinale cinese si fa assai vicina; dunque – essendo gli autori, Lucio Brunelli e Alver Metalli, due conoscitori profondi e scrupolosi della galassia ecclesiastica d’Oltretevere – qualche “margine” di possibilità, sia pure sub specie fictionis, esiste, pensa il lettore. Peraltro il vento della storia e della Provvidenza soffia dove vuole e le previsioni “meteo” in questo campo sono inattendibili. Però poi ci ho ripensato, perché l’eventualità di un “papa giallo” viene qui ottenuta ad un prezzo alquanto esoso: lo sterminio dell’intero collegio cardinalizio, tranne uno, il porporato Jin Lan Wu appunto. Non sarebbe stato carino dire al mio interlocutore: “Sulla barca di Pietro un giorno salirà un tuo connazionale, un timoniere cinese, ma solo perché non potrà salirci nessun altro!”. A parte questa personale riserva sulla ricezione benevola di un lettore cinese, “Il giorno del giudizio” (Fazi, pp. 282) costituisce un piacevole e profittevole svago per: a) gli amanti di questo genere narrativo; b) gli appassionati di vaticanologia; c) gli intolleranti alla cialtroneria.
I primi apprezzeranno il rispetto della suprema lex giallistica, l’incertezza protratta il più possibile in avanti su “dove si va a parare” congiunta ad una congrua quantità di “colpi di scena”. Certo, il delitto di partenza è mostruosamente inverosimile (o meglio, i lettori, soprattutto quelli abitanti nei pressi di San Pietro come il sottoscritto, tendono a considerarlo tale): un aereo che si schianta sulla Cappella Sistina mentre è in corso il Conclave. Però dopo “nine/eleventh” il terrorismo che viene dal cielo è un fatto (fino a 5 minuti prima chiunque l’avrebbe ritenuto inverosimile) e dunque oggi neanche lo scrigno secolare che custodisce il Giudizio michelangiolesco può essere escluso come bersaglio. Il riflesso condizionato nel quale siamo da allora immersi fa correre il pensiero del lettore verso Al Qaeda o suoi emuli ancora rabbiosi per il discorso pontificio di Ratisbona, ma Brunelli e Metalli fanno subito capire che le cose sono un po’ più complicate e che colpevoli preconfezionati possono rivelarsi una pista ingannevole.
Si apre inoltre, con la fine tragica dell’intero (o quasi) Collegio cardinalizio, il capitolo dell’apocalittica che tanto di moda va. Il thriller si attesta caparbiamente sul popperiano terreno della razionalità verificabile e perciò gli autori si divertono a sbeffeggiare i profeti di sventura e gli annessi media ingolositi dalle loro fanfaluche, guru che si lanciano avidi a sdottoreggiare sull’ecatombe color porpora e sui suoi legami con la fine del mondo.
Al gruppo b questo thriller piacerà per la cura dei dettagli d’arredo di casa vaticana. I gialli che ruotano intorno ai Sacri Palazzi o alle sacre sottane sono regolarmente infarciti di svarioni fattuali nella descrizione di un mondo sui generis come quello ecclesiastico; i clichè, ideologicamente orientati, proliferano e quando si leggono certi romanzi nei quali l’atmosfera dovrebbe essere tesa e mozzafiato si incappa in stranianti risate dovute a pacchianate incredibili. Qui questo non accade, la coppia Brunelli e Metalli è severa e puntigliosa; alla terza riga si incontra la parola “morione” per indicare l’abbigliamento di una guardia svizzera. Chi la conosceva? Io no. Ma fuor oltre alle minuzie si affrontano quesiti intricati: quali meccanismi si mettono in moto nella Chiesa cattolica per eleggere un nuovo Papa in una situazione così estrema? Credo che quelli narrati nel libro non si discostino molto da ciò che accadrebbe davvero dentro le Mura leonine in un caso così deprecabile e inusitato (anche se i porporati che stanno leggendo il thriller più che ai dilemmi del diritto canonico pensano alla perfidia dei due autori, da molti di loro ben conosciuti, che li fanno perire in massa nelle prime pagine).
Il gruppo c sarà soddisfatto per una ragione presto detta: nel plot non ci sono scorciatoie banali ne spezie usuali (sesso, ad esempio). Il tono che fa la musica di questo romanzo è ispirato alla sobrietà di giudizio, la ricerca della verità è affidata ad un poliziotto dalla mente pacata, le sovraeccitazioni che pure, visti gli avvenimenti inusuali qui narrati, potrebbero fagocitare di diritto ogni altro fattore in gioco, restano marginali. Insomma il sapore è chestertoniano e la frase scelta dall’editore per accompagnare il titolo di copertina risulta azzeccatissima: quando la gente smette di credere in Dio, non è vero che non crede più in niente. Crede a tutto.