Ho letto con una certa avidità il pezzo di Concita De Gregorio su La Repubblica. A tema i sedicenni e la mancanza di dialogo in famiglia.
L’ho letto fino in fondo sperando che prima o poi l’articolo finalmente iniziasse, dopo una premessa che si faceva sempre più lunga e ricca di dettagli. Al termine della pagina i miei occhi sono subito scivolati su quella accanto per vederne la prosecuzione. Ma con la vecchia pagina era anche finito il pezzo.
Così ho letto delle difficoltà dei sedicenni alle prese con le conseguenze del loro amore – che a volte assume la faccia di un figlio inatteso –, ho letto la necessità di mentire, ho letto le incomprensioni fra studenti e docenti e quelle fra docenti e genitori, ho letto dell’adolescenza che inizia sempre prima e sembra non terminare mai, ho letto che bisognerebbe cercare insieme una strada per uscirne. Quest’ultimo un accenno interessante, certo; ma nulla più.
Attendevo una parola non banale da Concita, una di quelle cui spesso ci ha abituato, ma questa volta deve essere rimasta incastrata nella tastiera del computer. Succede, anche ai grandi.
Allora faccio così. Mi prendo io la briga di continuare il suo pezzo. Ovviamente lo faccio a modo mio, senza prestare le parole a nessuno.
Tralascio quindi l’analisi situazionale già brillantemente fatta, la disamina dei punti di inciampo dei giovani e la mancanza di dialogo fra generazioni. Parto dalla strada nuova piuttosto. Perché se strada per uscirne allora strada nuova, nuova rispetto a quelle già battute in modo infruttuoso nel passato.
In realtà la strada c’è già, ed è vecchissima. Occorrono però occhi nuovi per guardarla, perché di sguardo in fondo si tratta. È la strada di un rapporto soddisfacente, fra soggetti alla pari, differenti solo per età anagrafica, non per il pensiero che orienta il moto. La strada è proprio la forma che il rapporto assume, costituendosi come una vera partnership a beneficio di entrambi.
Ecco, la questione è come guardiamo i sedicenni. Sono davvero così stolti, impulsivi, preda degli ormoni e irragionevoli come a volte ci fanno credere? O non sono piuttosto, esattamente come noi, dei soggetti che, come possono, fanno i conti con il reale cercando di trovare una soluzione alla loro questione individuale? Non c’è dialogo, è vero. Ma per parlarsi occorre innanzitutto stimare la persona con cui si dialoga. Se penso che non sia in grado di capire, se la considero non-all’altezza o un interlocutore non interessante certo non spenderò parole inutili. Quindi una stima di partenza.
E poi occorre avere qualcosa da dire. Occorre ritenere sufficientemente interessante la propria vita – ossia i propri atti, pensieri, circostanze, compagnie – per essere raccontata a un altro.
In entrambi questi aspetti noi adulti difettiamo assai: tendiamo a non stimare i ragazzi e in fondo abbiamo anche pochino da dire, forse perché viviamo poco.
C’è di buono, però, che loro non mollano. Come si dice: non se ne fanno una ragione. Se incontrano qualcuno che li guarda con simpatia e che porta argomenti interessanti per la vita non se lo fanno scappare, almeno fin tanto che stanno ancora un po’ bene e si curano di loro stessi.
Per questo vorrei invitare Concita De Gregorio a conoscere i sedicenni che conosco io e che sfuggono all’analisi del suo pezzo. E magari ripensarlo, se non riscriverlo, tenendo conto di una tale novità. Loro sanno essere aperti, curiosi, vogliosi di capire e disponibili; certo, conservano tutto il loro temperamento fatto anche di intemperanze, riottosità e qualche volta malefatte, ma ciò per lo più come una forma di difesa che non dice mai l’ultima parola su di loro. Se trovano una strada percorribile, non si negano il cammino; non amano una fatica astratta, però si spendono per una meta convincente; sgranano gli occhi se hanno davanti un orizzonte.
Ecco come sono molti sedicenni oggi. Non vorremmo anche noi essere così?