È un inno da uomini liberi quello che i cristiani cantano alla sera dell’ultimo giorno dell’anno. Il Te Deum è cantato in piedi per ringraziare il Signore di tutti i benefici che la sua bontà ha elargito nell’anno che volge al tramonto. Ma la sua musica, lenta e solenne, induce oltre che alla gratitudine anche all’adorazione della grandezza di Dio, all’ammirato sguardo alla creazione e all’opera della salvezza, infine alla richiesta della sua protezione. Tutto ciò ha a che fare con la libertà: Dio non vuole avere dei servi che lo temono, ma dei figli che lo amano. L’antico testo, il canto gregoriano e la posizione eretta esprimono in modo efficace la dignità dell’uomo nel rendere lode a Dio.



Secondo una leggenda, l’inno sarebbe stato composto a due mani da sant’Ambrogio e sant’Agostino, ma altri autori ne rivendicano la paternità. Oggi gli studiosi lo attribuiscono a Niceta di Remesiana, vescovo serbo della fine del IV secolo. Si tratta in ogni caso di un testo antico e autorevole, in cui si può ravvisare una triplice partizione: la prima consiste nella lode indirizzata al Padre, la seconda celebra Gesù Redentore, la terza unisce tra loro versetti di vari salmi, in un’alternanza di benedizione e di supplica. È una amplificazione del Sanctus, con il quale la liturgia si inoltra nella parte più misteriosa della Messa, la Consacrazione e chiama a raccolta gli angeli, i santi e i presenti per celebrare la memoria della Redenzione. È anche una riedizione del Credo, il cui centro è il mistero di Gesù, vero Dio e vero uomo. Ad liberandum suscepturus hominem, non horruisti virginis uterum: così il Te Deum ripropone con espressione difficilmente traducibile senza sciuparne l’intensità, la solenne formula del Credo: et incarnatus est de Spititu Sancto ex Maria virgine, et homo factus est.

È evidente come la Chiesa non smetta di ridire con le stesse parole la sola cosa che conti, quella antica e quella di sempre. La ripetizione aiuta la memoria e ricordare il bene che ci è stato dato e che continuamente ci si offre, giorno dopo giorno, anno dopo anno – lo si capisce meglio a una certa età – è l’unica operazione che veramente conti tra tutte quelle che quotidianamente compiamo.

Per questo è così significativa la ripresa che anche in quest’inno viene fatta dei testi biblici, dei salmi con i quali l’antico popolo di Israele si rivolgeva al Dio nascosto, che gli parlava attraverso la legge e i profeti. Come il saggio del Vangelo, la Chiesa trae dal suo tesoro cose vecchie e nuove e le fa brillare come i gioielli di cui erano ornati gli ostensori. Perché lì, in quella luce silenziosa, risiede corporalmente la divinità e chi la adora è chiamato a rifletterne un po’ la luce.

 

Di seguito il testo del Te Deum

 

Te Deum laudamus:

Te Dominum confitemur.

Te aeternum patrem,

Omnis terra veneratur.

Tibi omnes angeli,

Tibi caeli et universae potestates:

Tibi cherubim et seraphim,

Incessabili voce proclamant:

“Sanctus, Sanctus, Sanctus

Dominus Deus Sabaoth.

Pleni sunt caeli et terra

Majestatis gloriae tuae”.

Te gloriosus Apostolorum chorus,

Te prophetarum laudabilis numerus,

Te martyrum candidatus laudat exercitus.

Te per orbem terrarum

Sancta confitetur Ecclesia,

Patrem immensae maiestatis;

Venerandum tuum verum et unicum Filium;

Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.

Tu rex gloriae, Christe.

Tu Patris sempiternus es Filius.

Tu, ad liberandum suscepturus hominem,

Non horruisti Virginis uterum.

Tu, devicto mortis aculeo,

Aperuisti credentibus regna caelorum.

Tu ad dexteram Dei sedes,

In gloria Patris.

Iudex crederis esse venturus.

Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni,

Quos pretioso sanguine redemisti.

Aeterna fac

Cum sanctis tuis in gloria numerari.

Salvum fac populum tuum, Domine,

Et benedic hereditati tuae.

Et rege eos,

Et extolle illos usque in aeternum.

Per singulos dies benedicimus te;

Et laudamus nomen tuum in saeculum,

Et in saeculum saeculi.

Dignare, Domine, die isto

Sine peccato nos custodire.

Miserere nostri, Domine,

Miserere nostri.

Fiat misericordia tua, Domine, super nos,

Quem ad modum speravimus in te.

In te, Domine, speravi:

Non confundar in aeternum.