Scuola ed educazione religiosa in Russia: quale modello antropologico seguono? – Il consumismo è divenuto oggi la religione dell’uomo privato ed ha espulso tutto ciò che è trascendente oltre i confini dell’esperienza pratica. L’acquisto come comunione col mondo delle cose; il vuoto come unica forma di profondità universalmente accettata. Da noi in Russia, a quanto pare, non è al potere una generazione consumistica, ma ideologizzata. Non si accusa Putin di aver svuotato di significato, ma di aver imposto dei valori. Che sono valori sovietici, statalisti. In realtà, se vogliamo ben vedere, nei primi anni duemila è salita al potere una generazione formatasi ai tempi della stagnazione. Una generazione che ha assimilato la stagnazione come unica forma possibile di esistenza sociale, anche se molte cose della stagnazione non le andavano a genio. Ad esempio non le piaceva l’impossibilità di fare soldi, l’impossibilità di viaggiare all’estero e l’eccesso di ideologia; per questo ha cercato di costruire una stagnazione migliorata. Ci deve essere molto Stato, la nomenklatura di partito aumenta, ma in compenso si possono fare soldi, si può andare all’estero e non c’è più l’ideologia. Solo si parla di ideologia, una cortina fumogena a coprire il vuoto di significato. Qualcuno ha persino formulato il principio dell’epoca attuale parodiando la famosa triade «ortodossia, autocrazia e nazione», che ora invece sarebbe: «ortodossia, autocrazia e profitto». Ortodossia come forma esteriore di identità, autocrazia come principio di organizzazione dello Stato e profitto come unico valore unificante.



In base a questa impostazione la generazione politica arrivata al potere alla fine degli anni novanta imposta la scuola. Per essa la scuola non è «l’istituzione antropologica» attraverso la quale passa praticamente tutta la popolazione, a prescindere dalla provenienza sociale, dalle condizioni economiche e dalla confessione religiosa; non è il luogo dove si forma la personalità umana, ma un sistema preparatorio fatto di tecniche pedagogiche, il cui scopo è quello di dare al ragazzo delle conoscenze «utili», per applicazioni pratiche. Per questo dai programmi scolastici vengono sistematicamente eliminate le materie che sono direttamente collegate alla formazione delle idee, dei valori, delle emozioni, ossia le materie umanistiche. Nell’ultimo decennio queste materie umanistiche sono state ridotte sia come ruolo che come numero di ore. La letteratura non è più materia obbligatoria all’esame di finale, è tra quelle facoltative.



Fra l’altro, se guardiamo la storia della scuola in Unione Sovietica nel XX secolo, ci accorgiamo che è stata proprio la cultura russa dei classici mantenuta nei programmi scolastici a trasmettere alle nuove generazioni un’esperienza di vita profondamente non sovietica: le introduceva nell’universo delle tradizioni religiose, anche se loro potevano non sospettarlo neppure. Persino le opere antireligiose degli autori russi scappavano di mano alla propaganda atea, perché con chi combatte il poeta se Dio non esiste? Oggi invece si opera l’espulsione delle materie umanistiche, che comprendono insegnamenti come la cultura artistica mondiale, la letteratura, la storia.



Cultura umanistica o solo religione –Il problema è come si pone di fronte a tutto ciò la comunità dei credenti. La reazione è di questo tipo: cosa succede alle materie secolari, letteratura, storia, arte, non è affar nostro. Invece è affar nostro trovare una strada indiretta per entrare nello spazio della scuola. Infatti legalmente non si può, la Costituzione non permette di insegnare i fondamenti di una religione nella scuola pubblica. Così si preme per l’introduzione di una materia facoltativa che nelle regioni a maggioranza russa si chiama «fondamenti di cultura ortodossa», e nelle regioni a maggioranza islamica come il Tatarstan «fondamenti di cultura islamica». A prima vista, cosa c’è di male? Tanto più che il nuovo libro di testo dei Fondamenti di cultura ortodossa curato dal protodiacono Andrej Kuraev è di buon livello, decisamente meglio di tutti i precedenti.

Ma se consideriamo attentamente come avviene tutto questo, ci accorgiamo di una cosa molto importante. La maggioranza dei sacerdoti considera la cultura come un insieme di determinati argomenti: se uno scrittore scrive della Chiesa e dei preti è un bravo scrittore, se invece scrive della natura, di una crisi familiare o dei tormenti dell’intellettuale non si capisce a cosa serva. Se prendiamo i concorsi per bambini che si organizzano anche nelle parrocchie migliori, sono sempre concorsi monotematici: disegna una chiesa, disegna un sacerdote, disegna la vita di un monastero, scrivi una poesia sul prete, sulla chiesa, sul monastero. Questo perché non si capisce che la cultura non è un complesso di argomenti, ma un fenomeno dal contenuto affettivo. L’arte parla della fede e del significato non necessariamente in modo diretto, ma lo fa testimoniando una percezione della vita, trasmettendo esperienze interiori profonde che formano appunto la personalità umana, e con ciò stesso parlano della presenza di Dio nella nostra vita.

Per la stessa via monotematica la Chiesa cerca di entrare nello spazio della scuola pubblica. Lo Stato da una parte si oppone, dall’altro volutamente cede. Perché fa così? Perché l’unico ambito di materie in cui si possono inserire i «fondamenti di cultura ortodossa» è quello umanistico. Non dispiace sacrificarlo, per il governo non è altro che moneta di scambio; la concezione tecnocratica della scuola non permette di capire la sostanza antropologica delle materie umanistiche. Ovvero: perché non ridurre ulteriormente letteratura e storia per venire incontro alla Chiesa, e poi in cambio chiederle un piccolo sostegno politico in più… A nessuno importa che i Fondamenti di cultura ortodossa non abbiano una propria specificità di contenuto. Sappiamo che cos’è il catechismo, sappiamo che cos’è la letteratura. Ma cosa siano la cultura islamica presa separatamente, o la cultura ortodossa presa separatamente non è molto chiaro. Dei chiarimenti supplementari a testi che parlano della Chiesa? Istruzioni su come avvicinarsi all’icona? Oppure delle opere «di argomento religioso» artificiosamente espunte da loro reale contesto letterario? Perché non si possono fare queste stesse cose – spiegare la specificità dell’icona, commentare i temi ecclesiastici e biblici – all’interno di una lezione di letteratura, di arte, di storia? Tanto più che l’esperimento finirà molto probabilmente così: che le scuole sceglieranno dei surrogati di più semplice insegnamento, tipo «storia delle religioni» (questo si può fare). I Fondamenti verranno scelti da una minoranza, e le ore che vi erano assegnate non verranno restituite alle materie umanistiche.

Fra l’altro, la persona che non sviluppa la sfera estetico-affettiva fa più fatica a capire e ad accettare la profondità della fede. Se oggi voi parlate con un alunno delle scuole elementari russe, lo spettro delle sue emozioni si riduce a quattro parole: bene, male, triste, allegro. In più: triste equivale a male, e allegro a bene. Una persona con questo bagaglio emotivo «bipolare» poi farà fatica a recepire tutta la complessità e policromia della fede e allora cadrà nella tentazione di diventare cristiana non per aver sperimentato la libertà della fede, ma per un senso di appartenenza a un’organizzazione ecclesiastica esteriore. Mi sembra essenziale che gli uomini di Chiesa capiscano che la sfera estetica forma la personalità umana, che è una via per portare l’uomo a se stesso attraverso la ricerca della bellezza e dell’armonia. E che invece di dare una mano allo Stato nello spingere la letteratura, la storia, la cultura artistica universale ai margini del processo formativo, sostengano la vocazione umanistica della scuola.

Il passo successivo dovrà essere quello di rinunciare ai giochetti dietro le quinte, perché abbiamo già perso se incominciamo a fare i furbi. E dobbiamo riconoscere onestamente che noi non vogliamo il surrogato dei Fondamenti di cultura ortodossa, ma la possibilità che la Chiesa abbia diritto di cittadinanza legale nella scuola. Noi usiamo i “Fondamenti” come manovra diversiva, mentre in realtà vogliamo l’introduzione ufficiale del catechismo nella scuola pubblica.

 

Aprirsi alla cultura – Se guardiamo dal punto di vista pragmatico e razionale, oggi non c’è la minima possibilità di riuscirci. Ma il paradosso è appunto questo, che sul piano del calcolo, del cinismo e del pragmatismo siamo sicuramente più deboli. Noi siamo più forti là dove inizia l’impossibile. Per arrivare a far sì che la religione entri ufficialmente nella scuola pubblica russa senza trucchi (nel rispetto dei diritti dei non credenti e delle altre confessioni) ci vorranno decine d’anni, forse, ma sarà una via onesta e diritta. Ma se si realizzerà, non provocherà scismi né la distruzione della cultura umanistica. Per intanto, non dobbiamo fare come la volpe della fiaba russa, che prima chiede di passare la notte in casa della lepre, e poi la sbatte fuori di casa. Ma dobbiamo piuttosto sostenere l’insegnamento umanistico nella nostra scuola.

Se non altro per il semplice fatto che, appartenendo alla cultura russa, essendo educati sulla letteratura russa, è impossibile essere veramente atei. Ad esempio, sappiamo che Afanasij Fet si riteneva ateo. Ma leggendo le sue poesie ci accorgiamo che il linguaggio stesso della cultura lo conduce là dove non c’è posto per il suo ateismo.

 

Sul mucchio di fieno in una notte del sud

Giacevo volto al firmamento,

E il coro degli astri, vivo e concorde,

Sparso tutto intorno, ammiccava.

La terra, muta come un sogno inquieto,

Fuggiva via nell’ignoto;

Ed io, come primo abitatore del paradiso,

Io solo, vidi la notte in faccia.

 

E seguendo la poetica profondamente religiosa dell’ateo Fet, l’anima dello studente arriva, alla fine, là dove vorrebbe attirarlo un buon catechista.