“Se il compito dell’artista è di far capire i rischi e i pericoli che si corrono, allora Diego Rivera ha rispettato benissimo il ruolo dell’artista”. E’ questo il commento di Giuseppe Frangi, direttore del magazine “Vita” nonché grande esperto d’arte alla notizia che Google ha celebrato Diego Rivera nel suo logo. Diego Rivera grande pittore di murales, in realtà aveva nome incredibilmente lungo, come da tradizione ispanica, anche se forse Diego María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez era davvero “imponente” anche in questo. Nato 125 anni fa, morto nel 1957, Rivera è stato il rinnovatore dell’arte dei murales, i dipinti sui muri dei luoghi pubblici, tipica della tradizione pre-ispanica. Di profonda fede politica comunista, ritrasse spesso proprio il mondo operaio e contadino sfruttato dal capitalismo, in questo ricevendo accuse di essere sostenitore dell’Unione Sovietica. “Diego Rivera – prosegue Frangi – è oggi di estrema attualità proprio per il realismo e la critica di certo capitalismo che faceva nella sua arte”. Qual è dunque il punto di attualità dell’arte di Diego Rivera, ce lo spiega Frangi: “Proprio in questo periodo New York ospita una mostra dedicata ai suoi dipinti. In questa mostra tornano fuori alcuni murales che ai tempi, gli anni Trenta, furono al centro di un caso: vennero censurati e alcuni anche distrutti. Ad esempio un grande affresco su Lenin: essendo lui comunista, venne accusato di fare propaganda all’Unione Sovietica. Questa mostra allora è un po’ un risarcimento”. Chiediamo a Frangi quanto ci sia di vero che la sua arte si ispiri a quella pre ispanica, precedente la conquista spagnola del Messico: “Sicuramente la sua arte appoggia su quelle radici, quelle di una tradizione messicana da cui lui ha attinto. C’è una parentela, una filiazione da questa tradizione, che lui rigenera anche perché nel frattempo era diventata una tradizione morta. Lui la recupera, in funzione di un immaginario molto diverso, cioè non simbolico. Rivera aveva un immaginario molto realista, nella sua opera prevale la raffigurazione realistica rispetto a quella metaforica della tradizione azteca e maya”. Artista dunque profondamente messicano? “Non esattamente, perché pur provenendo da una tradizione marcatamente messicana si si poi era allineato molto alla raffigurazione europea e occidentale. Non a caso fu molto amico di Picasso e Modigliani ad esempio”. Per Frangi, Diego Rivera non era un artista ai lati del sistema, era a tutti gli effetti integrato nel sistema mantenendo una caratteristica di forte peculiarità di connotazione ideologica e di spirito narrativo di vita popolare. Un tipo di arte, la sua, ripreso poi anche in Europa da altri artisti, ad esempio Matisse, dice ancora Frangi, anche se raramente in spazi aperti come faceva lui: “Rivera può anche essere inteso come precursore della street art moderna, un’arte che parla a un pubblico vasto e non solo agli addetti ai lavori o al collezionista o al frequentatore dei musei. Un’arte che rompe la gabbia, l’incasellamento e cerca di tornare come l’antica arte religiosa che parlava al popolo. Un’arte che ha un contatto diretto con un pubblico vastissimo senza essere settoriale, a parte la connotazione ideologica di Rivera che ovviamente non era religiosa”. Come mai lo possiamo intendere ancora un artista contemporaneo? “In alcune sue immagini” dice Frangi “ci si ritrova una critica al sistema capitalista che oggi guarda con anni di anticipo rispetto a situazioni che stiamo vivendo”.
Un artista contemporaneo insomma: “C’è un suo quadro molto bello, dove si vede la città di New York su tre strati: nel primo ci sono dei capitalisti che tengono in sicurezza i denari; in mezzo la New York di quelli che hanno perso il lavoro e al terzo piano la New York in decadenza per via dei denari tenuti stretti dai capitalisti. Immagini di sessant’anni fa che impressionano per come siano attuali: se il compito dell’artista è di far capire i rischi e i pericoli che si corrono lui ha rispettato benissimo questo ruolo”.