Constantin Brancusi, di cui oggi si celebra l’anniversario della nascita (Brancusi nacque a Pestisani, un piccolo comune di circa 4000 abitanti formato dall’unione di sette piccoli villaggi, proprio il 19 Febbraio del 1876), è stato un artista rumeno, particolarmente dedito alla scultura. Brancusi era uomo di grande carisma artistico e nella sua vita ebbe frequentazioni importanti con diversi personaggi che sarebbero diventati di spicco sulla scena mondiale, tra cui anche Modigliani. Proprio a Brancusi infatti Modigliani deve il suo impegno con la scultura. Galeotta fu la presentazione di un mercante d’arte Paul Guillaume, che fu l’artefice dell’incontro tra lui e Brancusi.
L’esperienza entusiasmò Modigliani che si gettò anima e corpo nella scultura usando diversi materiali, prima la pietra, poi il legno. Modigliani dovette a malincuore abbandonare la strada artistica segnalata da Brancusi a causa del peggiorare della sua tubercolosi che certo non traeva giovamento dalle polveri derivate dalla lavorazione dell’opera.
Quello che – in questa non sistematica né esaustiva descrizione della vita di Constantin Brancusi – è importante sottolineare è il costante tentativo di Brancusi di perpetuare la sua poetica, di lasciare una Eredità culturale e artistica oltre l’opera stessa. Tanto che Eredità Brancusi è denominata la fondazione dedicata all’artista che si occupa della produzione del verosimile presente attualmente in Sri Lanka, Cuba, Repubblica Democratica del Congo, Russia, Italia e Cina.
Tra interesse per il primitivismo, e il gusto dell’astrazione Brancusi visse a cavallo di tre continenti, pur restando legato alla sua terra, come testimonia il grandissimo lascito delle sculture per il giardino pubblico di Târgu Jiu, forse una delle sue più grandi opere che si inserice nel tessuto di una intera città e la esalta segno che l’opera è parte di un tutto, di un intero cosmo: il viale che ospita la La mensa del silenzio e la Porta del bacio si trova in asse con la chiesa ortodossa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la principale della città, e corre lungo il 45º parallelo.
Altro esempio di “eredità” di Brancusi può essere – singolarmente – considerato addirittura un processo. Il cosiddetto “Caso Brancusi”, che l’artista intentò niente meno che contro il governo degli Stati Uniti. Una battaglia culturale e poetica che fece irrompere il concetto di arte e di astrazione addirittura nel sistema giuridico statunitense, che come è noto dà moltissimo peso alle sentenze che diventano precedenti giuridici. Lo spunto del “caso Brancusi” in realtà era piuttosto semplice: nel’ottobre del 1926, Brancusi, decide di esporre negli Stati Uniti una sua scultura del 1923, Bird in Space, dalle forme molto stilizzate (attualmente la scultura è stata valutata 27,5 milioni di dollari) e un funzionario di dogana, all’ingresso di Brancusi negli Usa, aprendo la cassa decise di classificare l’opera non come opera d’arte ma come “Kitchen Utensils”, destinato al commercio, rifiutando di applicare l’esenzione fiscale (duty free) prevista dal paragrafo 1704 del Tariff Act del 1922, relativo alle opere d’arte.
Uno scandalo per Brancusi e Duchamp che lo accompagnava, che proprio non potevano accettare. In prima battuta Brancusi dovette pagare circa 240 dollari, ma non finisce qui. E Brancusi intenta causa contro gli stati uniti. Il processo si trasformò in un evento artistico entusiasmante.
Il processo, a cui Brancusi non parteciperà personalmente (non a caso), durò ben due anni e vide deporre sei testimoni depongono a favore di Brancusi: il fotografo Edward Steichen, lo scultore Jacob Epstein, l’editore della rivista The Arts Forbes Watson, l’editore di Vanity Fair Frank Crowninshield, il direttore del Brooklyn Museum of Art William Henry Fox ed il critico d’arte Henry McBride.
Il giudice chiese a Steichen: «Lei come lo chiama questo?», e Steichen risponde: «Lo chiamo come lo chiama lo scultore, oiseau, cioè uccello». Waite continua: «Come fa a dire che si tratti di un uccello se non gli somiglia?», e Steichen: «Non dico che è un uccello, dico che mi sembra un uccello, così come lo ha stilizzato e chiamato l’artista». Waite incalza: «E solo perché egli (l’artista) lo ha chiamato uccello, questo le fa dire che è un uccello?» Steichen: «Si, vostro Onore». Ma Waite insiste: «Se lei lo avesse visto per strada, lo avrebbe chiamato uccello? Se lo avesse visto nella foresta, gli avrebbe sparato?» e Steichen: «No, vostro Onore».
Il dibattito fu acceso, e tutti i punti critici dell’arte dalla bellezza, al gusto soggettivo, all’utilità furono presi in esame in un crescendo di analisi che potremmo a posteriori definire poetica. La sentenza fu però in tutto favorevole a Brancusi: «L’oggetto considerato… è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale… accogliamo il reclamo e stabiliamo che l’oggetto sia duty free». Soprattutto nei commenti dei giudici di allora, si capisce come ancora una volta l’Eredità di Brancusi sia stata trasmessa: «che abbiamo o no simpatia per le idee nuove o quelli che le rappresentano, pensiamo che la loro esistenza e la loro influenza nel mondo… vada presa in considerazione». E lo stesso Steichen (che poi acquistò la scultura da Brâncuşi) affermò dopo il processo: «Bird in Space è stato il miglior testimone di sé stesso. È stato l’unica cosa che fosse chiara alla Corte: splendeva come un gioiello».