Dopo Wikileaks il sistema di acquisizione e divulgazione delle notizie, come pure quello di formazione del consenso e di maturazione dell’opinione pubblica, non sono più gli stessi. Lo si può facilmente dedurre dai recenti accadimenti internazionali (crisi dei regimi della Tunisia e dell’Egitto) e nazionali (contestazione delle scelte della politica estera del governo italiano e critica della condotta morale del Presidente del Consiglio), ai quali ha certamente concorso l’inarrestabile diffusione telematica non autorizzata dei documenti coperti da segreto. Si tratta di un dato di fatto, la cui mancata considerazione falsa e sfasa i termini dell’attuale dibattito sull’effettiva salvaguardia delle garanzie costituzionali tradizionalmente riservate ai singoli cittadini e ai titolari delle cariche istituzionali.
Qual è, dunque, la principale novità inaugurata soprattutto da Wikileaks? Essa consiste nell’avere liberato in via di fatto l’accesso ai documenti dai vincoli personali, spaziali, temporali, funzionali e istituzionali predisposti dagli ordinamenti dei singoli stati a tutela delle situazioni coinvolte. L’eliminazione materiale del segreto variamente apposto ai documenti riservati, pertanto, ha reso la relativa divulgazione libera, gratuita, generale e reiterabile.
L’innovazione ha prodotto un duplice effetto, incidente sia sulla tradizionale caratterizzazione del diritto d’informazione (nella duplice configurazione del diritto d’informarsi e del diritto d’informare), sia sulla stabilità del rapporto governanti-governati proprio dei singoli sistemi politici.
Quanto alla libertà d’informazione, l’indiscriminata e inarrestabile rimozione materiale del segreto si è anzitutto risolta in un’equivoca estensione della cosiddetta «libertà d’informarsi», consistente nella libertà di acquisire conoscenze. D’improvviso e – verrebbe da dire – loro malgrado, i cittadini si sono trovati nelle condizioni di potere assumere notizie e documenti riguardanti non già la propria sfera personale, bensì l’area d’interesse pubblico concernente l’attività di governo in senso lato. Innovazione, questa, doppiamente insidiosa e dubbia: da un lato, l’alluvionale e caotica moltiplicazione delle fonti di conoscenza non costituisce, di per sé, garanzia di libera e corretta informazione, potendosi paradossalmente risolvere nel mancato recepimento, anziché nel reperimento, di notizie significative; dall’altro il libero accesso ai documenti riservati, in assenza di un’adeguata capacità d’interpretazione e comprensione da parte dell’utente, è suscettibile di provocare una lettura degli stessi fuorviante, distorsiva, avulsa dal contesto di riferimento e, dunque, insignificante (in quanto incapace di cogliere il «senso» dei dati conoscitivi messi a disposizione)?
L’equivoca estensione della «libertà d’informarsi» si è risolta a propria volta nella diversa caratterizzazione della cosiddetta «libertà d’informare», consistente nella libertà di divulgare e interpretare le notizie, solitamente fatta coincidere con la libertà di manifestazione del pensiero; ciò si è tradotto nell’inevitabile ridimensionamento del ruolo degli organi d’informazione e delle agenzie di formazione del consenso.
Una volta resi di dominio pubblico per via telematica i documenti conoscitivi, compito della stampa e degli altri mezzi di comunicazione sociale è divenuto quello non più di divulgare le notizie, già a disposizione della generalità dei cittadini, bensì solamente di selezionarle, interpretarle e rappresentarne il senso. Il tutto, però, secondo una dinamica nuovamente equivoca, perché riferita a un contesto sociale ormai viziato dalle reazioni umorali di un’opinione pubblica tendenzialmente sfornita dei tradizionali filtri conoscitivi e culturali necessari a razionalizzare il dato informativo a disposizione.
E così, in un potenziale clima da nuova «colonna infame», l’apporto dei mass-media è tendenzialmente venuto a porsi a rimorchio dell’ingovernabile emotività sociale, anziché farsi interprete delle necessità informative e formative di un’opinione pubblica sempre più smarrita. Più che la legittimità e la fondatezza dei documenti in questione, di conseguenza, è apparsa sufficiente ed essenziale la mera esistenza degli stessi, indipendentemente sia dall’affidabilità della relativa fonte di provenienza, sia dalla credibilità e dalla comprensione del relativo contenuto, rimesso pertanto alla mera valutazione emozionale del singolo.
Un esempio può significare quanto evidenziato. Si immagini quale tipo di reazione politica e sociale si sarebbe potuta verificare in Italia negli anni della guerra fredda, nel caso ipotetico in cui fossero stati divulgati documenti dell’ambasciata americana attestanti il sistematico finanziamento del Pci da parte dell’Unione Sovietica. Prima ancora di contestarne l’affidabilità e la credibilità, la relativa notizia sarebbe stata verosimilmente contestualizzata, nel senso che ne sarebbero state spiegate le eventuali ragioni alla luce delle leggi della realpolitik e della contrapposizione geopolitica in atto; di conseguenza, privata della destabilizzante carica umorale sottesa, l’informazione sarebbe stata resa comprensibile e giustificabile, sino a far considerare la relativa divulgazione come sospetta, se non proprio espressiva di una colpevole provocazione (per usare la terminologia dell’epoca).
Nell’attuale contesto, per contro, i documenti divulgati da Wikileaks non hanno trovato una pari capacità di reazione e razionalizzazione; per molti versi, anzi, l’opinione pubblica è stata lasciata nelle condizioni di assimilare il relativo contenuto indipendentemente dalla valutazione della loro provenienza e della loro credibilità. Come nel caso della pornografia, in cui l’atto sessuale è documentato nella sua crudezza materiale a prescindere dal contesto relazionale di cui è espressione, anche nel caso di specie un contenuto altamente emozionale è stato offerto alla visione dell’opinione pubblica, indipendentemente dalla capacità e possibilità di valutare la complessità dei significati coinvolti.
Gli stessi mass-media, innanzi al disorientamento generale, hanno preferibilmente assecondato l’ondata emotiva suscitata dalla lettura dei documenti divulgati, anziché offrire gli strumenti di necessaria decifrazione e comprensione. Di rimando anche i partiti politici e le relative fondazioni culturali hanno rubricato e giudicato le novità divulgate sulla scorta dei prevedibili schemi di feroce bipolarismo in corso, senza aggiungere alcun significativo apporto conoscitivo.
C’è poi un secondo profilo d’incidenza esercitato dalla divulgazione senza limiti dei documenti riservati. Esso concerne il sistema democratico nei suoi presupposti fondanti e riguarda l’inscindibile legame fra democrazia e opinione pubblica; legame che presuppone che quest’ultima sia adeguatamente formata e informata, al fine di rendere effettivo l’esercizio dei diritti politici e della sovranità popolare. Orbene, a destabilizzare il rapporto fra governanti e governati concorre anche il caso della possibile errata valutazione dei dati conoscitivi posti a disposizione degli elettori, provocata da un eccesso di notizie difficilmente decifrabili e valutabili razionalmente.
Se, dunque, l’indiscriminata divulgazione telematica dei documenti sottoposti a segreto per un verso ha tendenzialmente ridotto la valenza della fase acquisitiva del «diritto d’informarsi», e, per altro verso, ha potenzialmente svuotato di originalità la fase interpretativa del «diritto d’informare» – dato il rischio di una sostanziale omologazione della comunicazione mediatica rispetto all’onda emotiva suscitata dagli eventi conoscitivi -, non si può non rilevare la principale conseguenza dell’innovazione rappresentata. Essa consiste nel fatto che non è più l’attività conoscitiva dei documenti informativi a essere essenziale al duplice fine della formazione dell’opinione pubblica e del conseguente mantenimento della stabilità del rapporto governanti-governati. Una volta che l’affidabilità, la credibilità e la correttezza formale e sostanziale dei documenti informativi divengono recessive rispetto alla capacità d’impatto emotivo esercitabile dagli stessi sull’opinione pubblica, ad importare non è più la piena comprensione dei documenti medesimi, bensì soprattutto la loro previa costruzione, produzione e divulgazione, quali che siano i conseguenti effetti sul piano dei rapporti fra organi di governo e società civile.
Si tratta di una conclusione che attesta l’involuzione subita dal contenuto del diritto d’informazione, regredito dalla piena conoscenza al mero possesso (e all’eventuale destabilizzante travisamento) dei documenti informativi. Essa, pertanto, pone in luce il vero e inedito rischio dell’evoluzione tracciata, riguardante l’eventuale costruzione, produzione e divulgazione di documenti male interpretabili, tali da manipolare il consenso popolare e da destabilizzare il rapporto fra governanti e comunità sociale.
(Primo di due articoli)