Fino al 15 maggio al Kunsthaus di Zurigo l’arte fotografica e scultorea si fondono in un’unica mostra: «FotoSkulptur – La fotografia della scultura dal 1839 ad oggi» è il titolo dell’evento zurighese. Una selezione di oltre trecento foto realizzate da un centinaio di artisti, fotografi e scultori saranno esposte in un percorso che vuole mostrare come il linguaggio artistico sia cambiato negli ultimi 170 anni. L’esposizione proviene dal Museum of Modern Art di New York e ha come seconda ed ultima tappa Zurigo. È la prima panoramica di questo tipo, che mostra il rapporto tra la fotografia e la scultura e come la prima e più recente abbia modificato l’altra.



Dieci capitoli costituiscono la mostra che permette di passare dai primi anni della fotografia, con gli scatti di alcune cattedrali francesi e del British Museum di Londra, ai lavori fotografici di Rodin e Brancusi. La panoramica continua arrivando agli anni ’20 con l’esplosione del fenomeno Marcel Duchamp e della fotografia surrealista e dada. Arrivano poi i più conosciuti fotografi americani del XX secolo: Walker Evans, Lee Friedlander, David Goldblatt e lo svizzero trapiantato negli USA Robert Frank. Il viaggio si conclude con artisti contemporanei come Bruce Nauman, Rachel Harrison e Cyprien Gaillard, Charles Ray, Dennis Oppenheim e il duo di artisti zurighesi Fischli/Weiss.



Dunque la seconda tappa di questo percorso è dedicata a Constantin Brancusi, di cui si è celebrato il 19 febbraio scorso il 135° anniversario della nascita. La sezione dal titolo «Constantin Brancusi: l’atelier come groupe mobile» è incentrata sull’unicità delle tecniche messe in campo dallo scultore romeno, che ferma sulla pellicola fotografica le sculture presenti nel suo atelier servendosi della dinamicità istantanea creata dagli squarci di luce e staccandosi in questo modo dalle tecniche fotografiche tradizionali. Nelle sue cosiddette «photos radieuses» la «figura» scultorea viene squarciata da veri e propri fulmini di luce, colti nell’istante.

Leggi anche

LETTURE/ Pasolini, il coraggio di sfidare "il sonno dei continenti"