Il recente centenario della morte di Lev Tolstoj ha offerto l’occasione di gettare nuova luce sui molti nodi della sua vita drammatica. Padre Georgij Orechanov ha studiato in particolare (cfr. La Nuova Europa n. 1/2011) il rapporto fra lui e il suo principale discepolo, Vladimir Certkov. Negli ultimi anni di vita, infatti, il grande Tolstoj fu quasi dominato dal suo «alter ego», il suo consigliere, editore e braccio destro. La loro amicizia, durata ventisette anni, si trasformò in un contraddittorio rapporto di reciproca sudditanza: di Certkov soggiogato dalle idee del maestro, di Tolstoj inchiodato alla propria dottrina dal discepolo. Lo scrittore Vasilj Rozanov cent’anni fa affermò che Certkov con la sua devota adorazione aveva «strangolato Tolstoj con le idee di Tolstoj».
Vladimir Certkov, di famiglia ricca e nobile, dopo una profonda crisi spirituale aveva deciso di abbandonare la vita di società per darsi alla beneficenza; fu proprio allora che incontrò Tolstoj: avendo sentito parlare di lui, si presentò nella sua casa di Mosca. Era l’ottobre del 1883, Tolstoj aveva 55 anni e Certkov 29. La simpatia fu immediata e reciproca. Tolstoj scrisse nel proprio diario: «È straordinario come siamo centrati sulla stessa cosa».
Tuttavia, all’inizio Certkov non condivideva tutte le posizioni dello scrittore: credeva nella divinità di Cristo, difendeva la redenzione, la resurrezione, la fede nell’aldilà. Mentre lo scrittore gli enumerava i motivi razionali per cui la dottrina della Chiesa era inaccettabile. E avvenne la «conversione tolstojana» di Certkov: nel 1885 il discepolo guardava ormai Cristo con gli stessi occhi di Tolstoj, cioè in termini totalmente umani e razionalisti. Nel 1892 Certkov scrisse a Tolstoj: «le lettere in cui Lei negava la divinità di Cristo sono state per me una sorta di termometro col quale misuravo il mio cambiamento…».
Conclusa la propria parabola intellettuale, Certkov, che era soprattutto un uomo pratico, si dedicò a pubblicare e diffondere le opere del maestro. Ma nel momento stesso in cui si sentì un tolstojano a pieno titolo, Certkov incominciò a fare i primi, rispettosissimi, appunti al maestro; in breve divenne il «giudice tolstojano» dello stesso Tolstoj. Riuscì a fare in modo di avere l’ultima parola sulla versione definitiva delle opere dello scrittore, correggendo tutto ciò che riteneva da correggere. E Lev Tolstoj, il leone pronto a tutte le battaglie, si sottometteva.
Per poter conservare l’eredità letteraria del maestro, Certkov prese a far copiare sistematicamente qualsiasi cosa uscisse dalla sua penna: le opere letterarie, gli articoli, le lettere personali, persino i diari. Ottenne che la figlia Marija togliesse letteralmente di mano al padre ogni pagina scritta. Oppresso da questa inflessibile tutela, Tolstoj finì per tenere un doppio diario, quello «ufficiale» e quello «vero», che teneva nascosto a tutti.
Tutto precipitò a causa del testamento: Certkov infatti ambiva a poter disporre in modo esclusivo di tutta l’opera dello scrittore, ma naturalmente la moglie di Tolstoj si opponeva. Fu una vera guerra. Il calcolo di Certkov non era economico, la sua era un’ambizione più sottile e «spirituale», si trattava di affermare il tolstoismo di cui si riteneva ormai il vero interprete, a dispetto di Tolstoj stesso. Negli ultimi tempi, infatti, la visione del mondo di Tolstoj era cambiata, ma il figlio spirituale, fermatosi al radicalismo demolitore di un tempo, non aveva le risorse intellettuali né la grandezza d’animo per seguirlo ancora. Così i rapporti fra maestro e discepolo quasi si capovolsero.
Essendo riuscito ad ottenere che lo scrittore firmasse in segreto dalla moglie un testamento a suo favore, Certkov temette che Tolstoj si pentisse, scrivendo un nuovo testamento. Dovette perciò vegliare che la rottura fra lo scrittore e la moglie non si sanasse. Tolstoj si sentiva talmente braccato, che nel diario segreto annoterà: «Mi stanno facendo a pezzi. Talvolta penso di andar via da tutti».
E infatti fuggì. Andò a rifugiarsi nei monasteri di Optina poi di Samordino, un gesto «di rottura» da parte di un uomo che per tutta la vita aveva maledetto la Chiesa. Fu il tentativo di liberarsi dalla tutela del discepolo e uscire dalla crisi spirituale; ma mentre meditava di fermarsi a vivere lì, venne raggiunto dalla figlia «tolstojana», che agitando oscure minacce da parte della mamma, lo indusse a riprendere il viaggio, conclusosi poi nella stazione di Astapovo. Qui lo scrittore ricadde nell’abbraccio di Certkov che lo isolò completamente in una stanza chiusa a chiave, e lo tenne all’oscuro dell’arrivo della moglie e di un monaco che gli portava i sacramenti.
In tal modo Certkov, l’uomo a lui più devoto, che lo ammirava sino all’idolatria, che guardava il mondo coi suoi occhi e aveva speso tutta la vita per lui, ma che amava le idee di Tolstoj più di Tolstoj, finì per prendersi la terribile responsabilità di impedire la rappacificazione del maestro morente con la famiglia e con la Chiesa.