La ragione è in crisi: ridotta a capacità di manipolare la materia, ha smarrito la sua dimensione originale. «Il nichilismo di cui Nietzsche faceva la diagnosi viene in gran parte da questa espulsione della ragione dalle domande più importanti della vita, che sono quelle sul bene e sul male». Parla Olivier Rey, matematico, docente di filosofia all’Università Panthéon-Sorbonne.
Ateo poi convertitosi al cristianesimo, Rey accusa la cultura contemporanea dominante di essere succube della scienza moderna. Come in Francia, dove una recente proposta legislativa segna una tappa ulteriore nella deriva delle false libertà.
Lei dice di essere cresciuto in un ambiente ateo. Che cosa le ha permesso di diventare cristiano?
È una domanda molto difficile, perché non si può mai sapere esattamente come una grazia simile possa avvenire. È qualcosa che si può individuare con precisione in un momento della propria storia personale, ma non si può “padroneggiare”. Tutto quello che si può dire è che, malgrado tutto, ci possono essere dei semi nascosti, ma presenti nella nostra vita, in grado di germogliare. Ma la mia esperienza può essere ritenuta analoga a quella di tante altre persone in Francia. A causa di una storia difficile e dei legami tra religione e politica, molti si sono trovati su posizioni antireligiose per ragioni che erano innanzitutto politiche. Quando queste obiezioni cadono, la sfera religiosa è più libera da preconcetti e la strada ad un incontro di fede, alla conversione, può essere aperta.
C’è una frase di Dostoevskij che suona come una sfida per l’uomo contemporaneo. «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?». Lei cosa risponde, e perché?
Personalmente ne sono convinto. Ma so anche che l’ostacolo più grande a questo riconoscimento, nella cultura in cui siamo immersi, è l’idea dominante di padronanza: della natura, di noi stessi, dei rapporti con gli altri. Essa ci impedisce di accogliere quello che dovrebbe essere ricevuto come un dono. Siamo ancora capaci di accettare la divinità di Gesù Cristo come un dono che ci viene fatto?
Ha scritto che quello che segna di più la nostra società non è l’uscita dalla religione, ma la dominanza di una religione eretica. Perché questa lettura?
Mi ha sempre sorpreso che il dibattito pubblico sottolinei continuamente le radici cristiane della nostra cultura, e al tempo stesso non batta ciglio nel costatare la sua grande e pervasiva scristianizzazione. Penso che si possa superare questo paradosso solo rendendosi conto che la nostra situazione è quella di un’eresia cristiana. Per fare un esempio molto semplice, il valore estremo che oggi è dato all’individuo è manifestamente di origine cristiana. Ma è “eretico” nella misura in cui dimentica che questa dignità viene dal fatto che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio.
Il paradigma del rapporto tra persone, lei dice, è quello che si trova nella Trinità. Ma nell’età del nichilismo, qual è la via per recuperare una visione del rapporto interpersonale non ridotta, centrata sulla gratuità?
Solo mettendo in questione l’antropologia che si è sviluppata al cuore della modernità e la sua idea centrale, in base alla quale la persona si costituisce come tale innanzitutto nel suo rapporto con la natura, e solo in seguito entra in relazione con altre persone umane. Ma non è così: la relazione umana è dall’origine costitutiva dell’essere che noi siamo.
Nel suo pensiero lei dà molta importanza al concetto di natura, che è molto controverso in tutta la cultura moderna. Che cos’è «natura»?
La natura di cui parla l’antropologia moderna è propria di un mondo inteso in chiave materiale. Uno degli esempi più emblematici di questo modo di intendere la natura è quello di Robinson Crusoe: è l’immagine dell’uomo che, da solo sulla sua isola, prima sistema il mondo che trova a disposizione e solo dopo va ad incontrare altri umani. Questa è una natura che è data, ma rimane un materiale che si deve trasformare per renderlo più gradevole al nostro uso; non è un dato originario che il soggetto trova e scopre in sé, e che come tale non può modificare, ma solo riconoscere.
Nella sua critica della scienza lei è molto severo: dice che la scienza moderna restituisce delle connessioni tra le cose, non la verità. Galileo però non ha mai detto che esistesse solo la verità della scienza, ma che il «tentar l’essenza» non ci avrebbe fatto conoscere il mondo fisico.
È un particolare approccio al mondo. Resto propenso a sostenere l’esistenza di una differenza radicale tra conoscenza e verità, nella misura in cui la verità è l’unità di conoscenza e amore. Quello che occorre temere è la riduzione della verità secondo i canoni della scienza moderna, non la sconfitta della razionalità strumentale; del resto, oggi è se mai il contrario.
Il suo è un approccio «personalista»…
No, non è semplicemente personalista perché non si può più concepire l’amore come qualcosa di solamente soggettivo, un sentimento che ho o che non ho in rapporto a qualcosa o qualcuno. Al contrario, esso fa parte dell’essenza della verità: è un modo che ci è dato per entrare in relazione con Qualcuno che supera infinitamente, amandola, la nostra persona.
Come si può restituire alla ragione minacciata dalla scienza la sua integrità?
Facendo un lavoro senza posa di recupero della sua dimensione originale. Quella che si è imposta nella modernità è una ragione strumentale il cui unico compito è di scegliere i mezzi da ordinare in vista di un certo fine. Questo vuol dire che la ragione è espulsa dalla considerazione e dalla scelta dei fini che vale la pena di perseguire. Al contrario, per San Tommaso il primo compito della ragione è quello di distinguere il bene dal male e dunque di fissare lo scopo. Il nichilismo di cui Nietzsche faceva la diagnosi viene in gran parte da questa espulsione della ragione dalle domande più importanti della vita, che sono quelle sul bene e sul male da perseguire e da evitare.
In Francia il cattolicesimo le pare più vittima o protagonista di un confronto con la contemporaneità?
Sia l’una che l’altra cosa. C’è una parte del cattolicesimo, quella denunciata da Charles Péguy per esempio, che ha partecipato a modo suo a ciò che lui chiama la modernizzazione della Francia, e dunque alla sua scristianizzazione. E allo stesso tempo c’è anche un cristianesimo che è stato la vittima di questa rivoluzione e l’ha subita da posizioni conservatrici.
Dalla Rivoluzione in poi la Francia è stata spesso la patria di una nozione di ragione contraria alla presenza sociale della fede. Oggi invece il presidente Sarkozy ha aperto la strada ad una nozione “positiva” di laicità. Sta dando i suoi frutti?
In modo controverso, sì. È ancora predominante una nozione di laicità per cui non si deve parlare di religione nel dibattito pubblico, ma questo modo di vedere è ora messo in forte discussione. Finora i cattolici potevano rinunciare a parlare di religione nel dibattito pubblico, perché in fondo c’era ancora nella società un consenso silenzioso, anche se debole, sui valori cristiani. Ma a partire dal momento in cui popolazioni immigrate arrivano con una cultura che non entra obbligatoriamente dentro questo consenso, ci si rende conto che la questione religiosa non può più essere scartata dal dibattito pubblico. E molti francesi ora si rendono conto che quella laicità che essi credevano indipendente dalla religione era una laicità cristiana.
Recentemente in Francia è stata presentata in Parlamento una proposta di legge per legalizzare l’eutanasia. Quale riflessione le suggerisce questo fatto?
È una delle iniziative che si inscrivono in quello che si diceva poco fa, cioè l’ideologia del dominio. Ci sono persone che non possono ammettere la perdita di padronanza che sopraggiunge alla fine dell’esistenza, e vogliono dunque assicurarsi che anche la loro morte sia qualcosa su cui sono loro stessi a decidere.
Secondo lei questa proposta gode del favore della maggioranza dei francesi?
L’esito dipenderà molto da come il dibattito pubblico sarà orchestrato dai gruppi di pressione e dalle maggiori televisioni. Ma non è un caso che la questione dell’eutanasia venga sempre presentata come un’estensione delle libertà individuali, ed è quello che sta puntualmente accadendo anche in Francia. Temo che la maggioranza dei francesi sarà d’accordo, senza accorgersi che rivendicando falsi diritti sta in realtà scavando la fossa alla vera libertà.