Ad un certo punto del percorso della bellissima mostra su Modigliani scultore organizzata al Mart di Rovereto al visitatore viene proposto un “dialogo” tra due opere che non può non colpire: di fronte a noi, sotto una teca, troviamo una Testa dello scultore livornese, datata 1911 e proveniente da una collezione di Washington; alla sua sinistra c’è un levigatissimo capolavoro di Francesco Laurana, grande artista di fine quattrocento: il ritratto di Battista Sforza.



Le due opere parlano una lingua molto simile, intessuta di eleganza formale, di un senso di femminilità rarefatta. Il dialogo insomma funziona. Ed è un dialogo che aiuta il visitatore a mettere meglio a fuoco quel mitico personaggio che fu Modigliani. Innanzitutto dimostra che la lettura che ne ha sempre fatto un “deraciné”, un uomo inquieto e senza pace, fa parte di un’aneddotica che poco serve a capirne la grandezza.



Modigliani si muove con l’autorevolezza di un autore classico. Aggredisce le pietre avendo una visione certa, che poco alla volta si fa sempre più nitida e chiara. La sua storia come scultore durò poco, tra 1911 e 1913. Il tempo di realizzare poco meno di 30 pezzi, il cui catalogo in occasione di questa mostra è stato messo definitivamente a punto. Poi, anche davanti all’incalzare della scultura così nuova di Boccioni, preferì lasciar perdere lo scalpello, per darsi alla pittura per quelli che sarebbero stati i pochi restanti anni della sua vita (morì nel 1920, appena 36enne).

Ma torniamo a quel dialogo; Modigliani è presentato al centro del percorso dentro una teca, così come tutte le altre sue sculture presenti in mostra. In questo modo viene isolato, pur nei confronti stringenti che vengono proposti con le sculture prodotte a Parigi in quegli anni, o con quelle primitive che erano state la grande scoperta sempre di quegli anni, da cui si era originata ad esempio la rivoluzione cubista. Sulle pareti laterali del percorso, insomma, ci vengono inviati dei messaggi o degli stimoli visivi che erano poi quelli in cui Modigliani stesso era immerso in quei fatidici anni parigini.



E la scultura di Laurana che cosa c’entra? C’entra perché da una foto in catalogo si scopre che l’amico collezionista che per primo aveva fotografato le sculture di Modigliani, Amadeo de Souza Cardoso, possedeva il calco di un altro celebre ritratto di Laurana. Segno che il mitico e rarissimo scultore di origine dalmata era davvero autore su cui Modigliani meditava. A tema di questa meditazione c’era la bellezza, nella sua eclatante evidenza fisica, ma anche nella sua misteriosa transitorietà.

 

Modigliani si era avventurato nel suo rapporto con la pietra (che in genere è un calcare che sembra traspirare), quasi a tirar fuori la forma, o meglio la grazia di questa bellezza. È un percorso, una maturazione che si può seguire passo passo, sino all’apice di quella straordinaria Testa arrivata dalla Tate Modern di Londra; una Testa alla fine compiuta, di una perfezione levigata quasi quanto quella di Laurana.

 

Tutto questo a conferma di quanto la mostra del Mart sia una mostra in cui il grande lavoro filologico (merito del curatore Flavio Fergonzi) ha trovato una modalità di presentazione, nell’allestimento e nella scelta dei pezzi esposti, assolutamente coerente. Il che per i visitatori si traduce in una facilità e in una felicità di approccio. In sintesi: chi può non la perda, perché di mostre di questa qualità e così emotivamente ricche, se ne vedono poche. C’è tempo sino al 27 marzo.