«Chi vede nelle proteste in Nord Africa una contrapposizione tra i regimi laici e il rischio di una deriva islamista non tiene conto del fatto che la realtà è molto più complessa. Dimenticando per esempio che l’articolo 2 della Costituzione egiziana dichiara che “i principi della sharia islamica sono la fonte principale della legislazione”. L’alternativa non è più tra secolarismo e fondamentalismo, perché nelle manifestazioni di piazza si è affermato un soggetto politico completamente nuovo». Ad affermarlo è Malika Zeghal, docente di Pensiero islamico contemporaneo alla Harvard University e autrice del saggio The power of a new political imagination pubblicato dal Social Science Research Council.



Lei ha studiato a lungo il dibattito culturale in Nord Africa e Medio Oriente. Ritiene che questi Paesi siano pronti per la democrazia?

La rivolta in Tunisia ed Egitto, e l’attuale agitazione nel resto del Medio Oriente e Nord Africa sono il risultato del profondo malcontento della gioventù che rifiuta autoritarismo, corruzione e la mancanza di opportunità economiche e politiche. I giovani vogliono cambiare radicalmente le istituzioni delle loro società e domandano riforme reali e significative: uguali diritti, trasparenza e il loro coinvolgimento nella costruzione della nazione. Questo porterà inevitabilmente verso le riforme, creando i presupposti per una vita politica e sociale più democratica.



Per molti però l’alternativa è tra una dittatura pro-occidentale da un lato e uno Stato musulmano guidato dagli islamisti dall’altra…

Io non la penso così. La minaccia dell’islamismo è stata utilizzata in modo costante dai regimi arabi e dai loro alleati per evitare di attuare le riforme democratiche. Quello che sta avvenendo oggi è un «cambiamento di paradigma»: i dimostranti tunisini ed egiziani non protestavano per chiedere uno Stato islamico, ma piuttosto per ottenere un mutamento di regime, la fine della corruzione e la democrazia. Quello che si sta verificando è un nuovo tipo di liberazione nazionale, con il desiderio di un nuovo progetto politico in cui tunisini ed egiziani non siano più sudditi dello Stato, ma cittadini in grado di riacquistare il senso della loro dignità.



Per i cristiani dei Paesi arabi, le rivolte sono più un rischio o un’opportunità??

Per tutte le minoranze religiose che vivono nel Medio Oriente e in Nord Africa, questa è una nuova opportunità di vedere rafforzati i loro diritti. Un dialogo tra musulmani e cristiani è sempre esistito, talvolta a livelli relativamente isolati, tra piccole reti di intellettuali, talora a livelli più ampi e ufficiali. E acquisterà necessariamente una forza maggiore se saranno avviate riforme più significative in grado di affermare l’uguaglianza dei diritti in tutti i campi della vita. Ne beneficeranno non solo le minoranze cristiane, ma anche le altre minoranze religiose come le comunità sciite.

I movimenti islamici come i Fratelli musulmani accetteranno di integrarsi nelle istituzioni democratiche?

In Tunisia così come in Egitto, gli islamisti hanno tenuto un basso profilo, e rappresentano soltanto una parte, per quanto significativa, dell’opposizione politica. Se ci sarà una transizione verso una vita più democratica, giocheranno certamente un ruolo cruciale, ma non dovremmo sopravvalutare il loro peso. Da tempo islamisti come al-Nahda in Tunisia e i Fratelli musulmani in Egitto hanno chiesto di poter partecipare alle istituzioni politiche laiche, ma questo non è stato sempre permesso loro dai precedenti regimi.

Ma al di là delle dichiarazioni di facciata, quali sono i veri obiettivi dei movimenti islamisti?

Rashid al-Ghannushi, il leader storico del movimento islamista tunisino al-Nahda, ha dichiarato che il suo movimento non sarebbe un «partito religioso», ma un partito il cui punto di riferimento è l’Islam. Utilizzando così un’espressione simile a quelle del partito turco AKP. Al-Ghannushi ha sottolineato la sua accettazione del Codice dello Status Personale imposto dal presidente Bourguiba nel 1956. Cioè delle norme che hanno reso illegali la poligamia e il divorzio tramite ripudio. Inseriti in questo generale regime di laicità, la maggioranza degli islamisti hanno mostrato il loro desiderio di essere autorizzati a formare un partito e a prendere parte alla competizione elettorale nel sistema politico in Tunisia.

Per anni però i regimi autoritari sono stati considerati come l’unica forma possibile di un governo laico…

Al contrario di quanto si dà spesso per scontato, lo Stato egiziano e quello tunisino non sono «laici». Le loro costituzioni (dal 1923 per l’Egitto e dal 1959 per la Tunisia) dichiarano che «l’Islam è la religione di Stato». In Egitto dal 1980 l’articolo 2 ha dichiarato anche che «i principi della sharia islamica» sono «la fonte principale della legislazione».Questi regimi post coloniali si sono spesso coinvolti nella religione, fornendo e tentando di imporre la loro personale interpretazione dell’Islam. Hanno controllato e riformato le istituzioni religiose e costruito i loro stessi establishment religiosi. I regimi di Tunisia ed Egitto hanno realizzato tutto ciò in forme diverse, secondo le loro specifiche storie. Tuttavia entrambi hanno utilizzato l’Islam come uno strumento di ingegneria sociale, tentando allo stesso tempo di separare il dissenso politico dall’ispirazione religiosa e vietando «l’utilizzo dell’Islam per scopi politici», nonostante la loro stessa strumentalizzazione del linguaggio e delle istituzioni musulmane.

(Pietro Vernizzi)

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