C’è ancora qualcuno che non sia choccato dai libri di Houellebecq? Esattamente come il bimbo che grida “il re è nudo”, Houellebecq sconvolge attraverso il suo talento profetico, denunciando un mondo depressivo che non si vuol vedere. Con un umorismo travolgente, parla del male che divora l’uomo moderno. Cerca il senso della vita partendo dalla realtà che osserva, seziona, smembra, stritola. Sottolinea, con un’ironia autobiografica, il vuoto esistenziale dell’uomo, perso in una  ricerca che risulta impossibile perché la società gli rimanda solo sofferenza, solitudine e acidità.



Questa società spinge l’uomo al peccato della disperazione, che per Houellebecq consiste nel tagliarsi fuori da ogni contatto umano, affettuoso e vivo. Tutti i suoi personaggi soffrono di questo peccato, tipicamente “houellebecqiano”, e che li rendi insopportabili. Lui parla del mondo come gli appare, facendo un’analisi terribile di questa società contemporanea che manca di amore e spinge l’uomo a diventare un semplice ingranaggio in una società meccanizzata. Trova che “non si piange più abbastanza oggi giorno, mentre  piangere fa bene alla salute”.



Nel suo percorso letterario, i temi e il tono non cambiano: con insolenza, ironia, umorismo e ambiguità, descrive la disperazione urbana e abbraccia tutti i grandi problemi dei nostri tempi, come la scienza e le conseguenze sociali della deriva della sessualità, dell’invecchiamento e della riproduzione, ma anche la sterilità del sesso occasionale e del divertimento, il vuoto della vita post-industriale. La potenza della sua scrittura sta in uno stile particolare, basato sulla descrizione fredda, scientifica, intransigente e radicale dell’uomo mediocre, l’anti-eroe, l’uomo vittima di questo mondo depressivo, il tutto sostenuto dal suo caratteristico umorismo. “Un poeta morto non scrive più. Da qui l’importanza di restare vivi”).



Nei suoi primi libri Houellebecq ha stupito per il suo approccio al tema del sesso, affrontato in modo diretto e crudo. In realtà una rilettura più meditata fa capire che per lui è un modo per de-sacralizzare la sessualità moderna, concepita come oggetto di banale consumazione, vissuta come un diritto democratico e quindi messa a disposizione sul mercato. Umorismo immediato tipicamente suo, perché per Houellebecq, invece, nel sesso avviene una ricerca del riconoscimento umano, la ricerca di una vita comunitaria, di un’appartenenza, il desiderio della ricerca del senso della vita attraverso l’atto massimo di tutte le emozioni affettive.

Houllebecq afferma di aver superato, nell’ultimo libro, la questione del sesso. Però dice non aver finito di interrogarsi sulla questione riguardante la religione. “La caduta del cattolicesimo mi ossessiona. L’avevo già constatato in Irlanda ma era spettacolare anche in Spagna. E mi domando, senza trovare risposta: cos’è diventata la speranza della vita eterna? Sono sorpreso che nessuno ci pensi più. E poi c’è anche l’idea più basilare del cambiamento dei costumi nello spazio di qualche anno, senza che nessuno abbia mai niente da ridire e senza nessuna resistenza”.

 

Nel libro La carta e il territorio, il suo quinto, Houellebecq attacca l’arte, l’amore, i soldi, i peoples, ironizza sulla campagna francese e mette in scena con sadismo il suo proprio assassinio in modo particolarmente cruento. Grande osservatore e ricercatore, non pretende mai di trovare una soluzione. Ed è qui che si situa la sua sofferenza esistenzialistica. Parte perdente, come se in tutti i casi non ci fosse nessuna possibilità di risposta. Ne La carta e il territorio ci parla attraverso il suo stesso personaggio: come creare il legame tra la realtà esterna (la carriera artistica di un fotografo e pittore) e la realtà interna, con le sue paure e i suoi desideri, che non riesce a conciliare? L’anti-eroe di quest’ultimo libro ha paura di confrontarsi con la realtà e per affrontarla riduce la ragione con un’overdose di categorie. Poi esclude e distrugge tutto quello che non entra in queste categorie. Peggio, si lascia invadere dal vuoto e dalla morte.

 

A questo punto non c’è più niente che tiene di fronte all’assenza d’amore che si crea e l’esistenza diventa destinata al vuoto e alla morte. Houellebecq ci avverte (Rester Vivant) “Tenendo conte delle caratteristiche dei tempi moderni, l’amore non può più manifestarsi; ma l’ideale dell’amore non è diminuito. Essendo, come ogni ideale, fondamentalmente situato fuori dal tempo, non potrebbe né diminuire né sparire. Da qui c’è una sproporzione ideale-realtà particolarmente evidente, sorgente di sofferenze particolarmente ricche. Gli anni dell’adolescenza sono importanti. Una volta che avete sviluppato una concezione dell’amore sufficientemente ideale, sufficientemente nobile e perfetta, siete fottuti. Non potrete mai più, ormai, accontentarvi di niente”.

Ed è così che il protagonista lascia partire la persona amata, senza reagire, senza esprime niente. Muto e fastidioso, il personaggio commuove malgrado tutto perché gli avvenimenti della sua vita si susseguono in esperienze fatalistiche che lui guarda come farebbe un semplice spettatore. Anche la sua sofferenza diventa vuota di emozioni. Ma attraverso la straordinaria arte che descrive freddamente questa disperazione, rimaniamo sedotti e provocati a cercare il senso di tutto ciò, il senso della vita, della nostra stessa vita, in un equilibrio pericoloso tra il controllo e l’imprevisto. La realtà è veramente cosi definitivamente cattiva? E la realtà non corrisponderà mai al cuore dell’uomo? Qual è la forza che potrà far cambiare la realtà e il cuore dell’uomo?

 

Da un libro all’altro, Houllebecq sta descrivendo un mondo specifico, unico, dove è riuscito a trasformare il suo dolore, il suo odio brutale e il suo inferno personale nel parafulmine delle frustrazioni nazionali. Il premio Goncourt ha dato un sigillo formale all’intuizione narrativa dello scrittore Houellebecq. Forse la vita confermerà le domande fondamentali e istintive dell’uomo Michel.

 

(Alessandra Guerra)