Ci sono libri che vengono rifilati fin da bambini, fatti ingurgitare a forza tra i banchi o in estati troppo afose. Ne abbiamo un ricordo piatto di inutilità celata. Quasi libri di precetti religiosi e buoni propositi, che finche si è piccini possono essere ancora letti, ma una volta raggiunta l’età della ragione cadono nel dimenticatoio. È il caso delle Lettere di Berlicche di Lewis in cui viene riportato il carteggio fra due diavoli: Malacoda apprendista alle prese con il suo primo paziente,e lo zio Berlicche dispensatore di consigli utili per evitare la conversione dell’uomo in questione.
Lewis abbandonerà la fede all’età di dodici anni intraprendendo una vita da esteta, dedicandosi con successo e senza patemi alla cultura, al successo, alle donne. Ma succederà che “dentro ad ogni esperienza pura” continuerà a percepire “qualcosa che non può essere spiegato”. Dirà nella sua autobiografia di che cosa si tratta: “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta ingannando voi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”.
Con questo pungolo Lewis farà i conti per tutta la vita cercando di metterlo a nudo nelle sue opere, e ci riuscirà nell’ultimo romanzo A viso scoperto dove nelle parole del protagonista sembra di rivedere lo stesso scrittore. “Proprio perché tutto era così bello nasceva dentro di me un desiderio, sempre lo stesso: da qualche parte doveva esserci qualcosa di ancora più bello. Tutto sembrava dirmi, Vieni! Ma io non potevo andare… Mi sentivo come un uccello in gabbia, che vede gli altri uccelli della sua specie volare verso casa”.
Lo scrittore non accetta la visione di cristianesimo che passa nell’occidente liberale dei nostri giorni, in cui Dio è visto come: “il tipo di persona che sta sempre a spiare se uno se la spassa, e poi cerca di impedirglielo”. Anzi rilancia la questione nelle lettere di Berlicche dicendo che si è veramente cristiani in virtù e non nonostante i propri desideri più profondi: “Hai permesso al paziente di leggere un libro che veramente gli piaceva, del quale veramente godeva. In secondo luogo gli hai permesso di fare una passeggiata fino al vecchio mulino e prendervi il tè. Una passeggiata attraverso un paesaggio che veramente gli piaceva e fatta da solo. In altre parole gli hai offerto due veri e positivi piaceri. Sei stato davvero così ignorante da non vederne il pericolo?”.
Lewis non concepisce il cristianesimo come castrazione della personalità ma come una sua esaltazione: “In fondo Egli è un edonista.Tutti quei digiuni, quelle vigilie, come i roghi e le croci, sono facciata. O soltanto come la spuma sul lido del mare. Laggiù in alto mare, nel Suo mare, c’è il piacere, e sempre maggior piacere. Ha riempito tutto il Suo mondo di piaceri. Vi sono cose che gli essere umani possono fare tutto il giorno senza che egli vi badi ne tanto ne poco: dormire, lavarsi, mangiare, bere, fare all’amore, giocare, pregare, lavorare. Ogni cosa deve essere distorta prima che ci serva in qualche modo”.
Per questo vale la pena di rispolverare questo libro, magari leggerlo, da soli, con onestà quasi da bambini. Perché si tratta di inno alla vita e al valore, alla dimensione di ogni piccolo gesto, con gli occhi di chi ha scritto che “incontrare Dio è la cosa più scomoda al mondo, perché egli sta costruendo una casa tutta diversa da quella che avevate in mente voi. Pensavate di costruire una casetta ammodo: ma Lui sta costruendo un palazzo. Intende venirci a vivere Lui stesso”. Buona lettura.