La storia di Ermengarda di Bretagna documenta quanto falsa sia una lettura unicamente misogina del Medioevo, in cui la figura della donna troverebbe risalto solo nella devozione alla Madonna e solo dopo molti secoli di oblio verrebbe idealizzata dall’amore cortese, senza alcun interesse per la realtà concreta della condizione femminile. Nei suoi limiti, la sua vicenda è anche un esempio dell’importanza dell’amicizia depositata nella corrispondenza epistolare: due uomini molto influenti infatti le si rivolgono per lettera e si prendono cura di lei, mostrando una singolare attitudine a comprendere l’animo femminile.
Nata verso la metà dell’XI secolo ad Angers, Ermengarda era figlia del conte d’Angiò e aveva sposato giovanissima  il conte di Poitiers; rimasta vedova si era risposata con il duca di Bretagna e durante l’assenza del marito, partito per la Crociata, aveva affiancato il giovane figlio come reggente nel governo delle terre del marito. Il duca era tornato dalla Crociata provato nel corpo e nello spirito e, come spesso accadeva, aveva abdicato  e si era ritirato in un monastero.
Decisa a seguirne l’esempio, Ermengarda si rivolge allora al bretone Roberto di Arbrissel, fondatore di Fontevraud, il quale in una lettera – ed è l’unico suo scritto che ci sia pervenuto – piuttosto che incoraggiarla a prendere il velo, la invita a  santificare la sua vita di castellana, ad attendere con cura ai suoi doveri senza trascurare la preghiera e le opere di carità. Forse in questa duttilità dolce e insieme esigente, improntata a mitezza e mansuetudine, lontana dalla durezza di regole rigide si trova il motivo dell’efficacia della predicazione di Roberto tra le donne di ogni ceto, dalle nobili alle prostitute; certo in questa lettera è presente una valorizzazione della vita familiare molto moderna per tempi nei quali la cura della spiritualità laicale era ancora ben lontana dall’essere tematizzata.
Ermengarda tuttavia entra a Fontevraud nel 1111, per uscirne alla morte del marito e assumere il ruolo di conciliatrice nella Bretagna sconvolta da intrighi e lotte nobiliari. Ma la nostalgia del chiostro la accompagna e la mette sulle tracce di Bernardo di Chiaravalle, nel cui ricco epistolario si trovano due lettere a lei indirizzate, non facilmente databili né inscrivibili con precisione nella complessa vicenda biografica di Ermengarda.



In un brano della prima egli le si rivolge così: Piacesse a Dio che tu potessi leggere nel mio cuore come su questa pergamena. Vedresti quale profondo amore per te il dito di Dio ha inciso per te nel mio cuore. Un frammento della seconda  esprime l’affetto in modo ancora più esplicito: Il mio cuore è colmo di gioia quando sento che il tuo è in pace. Che piacere sarebbe intrattenermi con te di persona e non per lettera. Mi dolgo dei miei impegni quando mi impediscono di vederti e sono così felice quando mi consentono di farlo.
Il tono delle due lettere meraviglia gli esperti, pur abituati all’affettività del santo, che si esprime secondo tutta la gamma dei sentimenti umani, dall’ammirazione alla rampogna, dall’intenso affetto all’ira più viscerale.
Non può sfuggire a nessuno l’attenzione che uno degli uomini più potenti del suo tempo riserva alla sensibilità di una donna forte tanto da governare territori estesi, ma anche combattuta circa la via per perseguire la propria santità.
L’instabilità di Ermengarda non trova pace neppure quando per opera di san Bernardo viene accolta tra le monache cistercensi di Larrey nel 1129. Su invito del fratello Folco, diventato re di Gerusalemme, ella infatti compie un pellegrinaggio in Palestina, di certo non agevole e comunque non contemplato dalla rigida clausura dell’ordine che aveva abbracciato. Al suo ritorno in Bretagna fonda l’abbazia cistercense di Buzay, il cui primo abate è il fratello di san Bernardo. Nel 1147 muore nel suo monastero e viene sepolta accanto alla tomba del secondo marito, esempio quanto mai vivace di una condizione femminile privilegiata e connotata da mutamenti solo in parte dovuti alle circostanze esterne.

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