Personalmente penso che non ci sia stato un artista nella storia che più di Michelangelo abbia compreso e saputo esprimere il dramma della passione di Cristo. Per rendersene conto basta che andare a vedere l’intensissima mostra, aperta in queste settimane attorno all’ultimo capolavoro del genio fiorentino, la Pietà Rondanini, al Castello Sforzesco di Milano (sino al 19 giugno, a cura di Alessandro Rovetta). Attorno a questa scultura infatti sono stati raccolti alcuni disegni, ottenuti grazie a una serie di prestiti straordinari da grandi raccolte europee, così da ricostituire un insieme omogeneo, sia dal punto di vista tematico, che da quello cronologico: tra i disegni spiccano le impressionanti Crocifissioni, realizzate tra il 1560 e 1564, anno della morte di Michelangelo. È un blocco di opere che commuove e insieme toglie il respiro per la profondità con cui l’artista s’addentra nel mistero della passione di Cristo.
Se dovessimo domandarci come Michelangelo sia arrivato a cogliere immagini e forme di tanta intensità, credo che la risposta possibile sia una sola: in questo momento estremo della sua vita Michelangelo fa della sua arte una forma del suo rapporto personale con Cristo. Lui che era l’artista principe, che sino all’ultimo ha avuto carta bianca dal Papa; lui che lavorava al grandioso cantiere che doveva mostrare al mondo la Chiesa in tutta la sua gloria e la sua potenza, davanti a questi fogli e a quel conclusivo blocco di marmo, instaura un dialogo stringente e decisivo con il Salvatore. Non è un caso che queste opere avessero una destinazione privata: il che toglieva a Michelangelo ogni preoccupazione rispetto alle esigenze di una eventuale committenza e gli permetteva di lavorare in una condizione di totale libertà.
Prendiamo ad esempio la Pietà Rondanini, l’opera alla quale lavorò sino agli ultimi giorni di vita. Il braccio sospeso a sinistra rende evidente che in corso d’opera Michelangelo si era deciso a un cambiamento radicale della scultura, rispetto a come l’aveva immaginata. E il cambiamento è sintetizzato in maniera perfetta nelle parole usate dal notaio Roberto Ubaldini, il giorno dopo la morte di Michelangelo, per stilare l’inventario delle opere rimaste nella casa di Macel de’ Corvi: «Un’altra statua principiata per un Cristo ed un’altra figura di sopra, atacata insieme, sbozzata e non finita».



In quell’espressione “atacata insieme” c’è il senso di quello che Michelangelo cercava: annullare ogni distanza tra Maria e Gesù deposto dalla Croce. Non è più la madre che regge il corpo del Figlio, come era accaduto nella celebre Pietà, realizzata da Michelangelo giovane per San Pietro. Ma è la madre che si “ataca” al corpo del figlio, come alla verità del proprio destino. Guardando questo capolavoro tutto verticale, quasi affusolato nel marmo, davvero si resta nell’incertezza riguardo “a chi regga chi”. È la madre che sostiene Cristo, o viceversa è lei che si appoggia sulle sue spalle?
Impossibile rispondere, perché Michelangelo va oltre la rappresentazione pur commossa di un momento chiave della storia di Gesù. Michelangelo s’addentra personalmente nel mistero e se ne lascia guidare.  Ci si accorge di questo, osservando gli stupefacenti disegni esposti. In molti di questi Michelangelo sembra lavorare con una mano oscillante, quasi turbata. Il segno vibra sulla carta, si condensa in forme vive, affonda, pulsa. Le figure sono corpi in forma d’anima, la cui consistenza è tutta nel rapporto con un’altra presenza: figure protese verso il proprio destino, che coincide con la braccia aperte di Cristo sulla Croce (in un sonetto Michelangelo scriveva: «l’anima volta a quell’amor divino c’aperse a prendere noi, in croce le braccia»).
Per questo abbiamo l’impressione di non avere davanti agli occhi un’immagine fissa, ma un’immagine colta nel suo continuo accadere. Non più solo sculture, non più solo disegni, ma qualcosa d’altro. Testimonianze impressionanti di un’esperienza umana. Dove “impressionante”, significa che quest’esperienza si è letteralmente “impressa” sulla carta o nella pietra. Forse la definizione più esatta è quella di preghiera. Queste opere sono preghiere di un genio al suo e nostro Signore.

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