C’era una volta un ragazza della Georgia del sud che abitava in una casa di mattoni rossi circondata da pavoni e ogni sorta di volatile pennuto. Questa ragazza che cuciva maglioni colorati per i suoi polli si chiamava Mary Flannery O’Connor e sarebbe stata la più grande scrittrice cattolica del secondo Novecento. Stroncata a trentanove anni dal lupus, riscoperta da una parte della critica nell’ultimo decennio.
È sempre stata un personaggio difficile da accettare per la sua radicalità nell’essere cattolica, e nel descrivere l’esperienza dello scrivere. Dirà in una conferenza tenuta ad universitari: «Ci si lamenta sempre che il romanziere moderno non nutre speranze e che il mondo da lui dipinto è insopportabile. L’unica risposta è che chi non nutre speranze non scrive romanzi. Scrivere un romanzo è un’esperienza terribile, durante la quale spesso cadono i capelli e i denti si guastano. Mi manda sempre in bestia chi insinua che lo scrivere narrativa sia una fuga dalla realtà. È invece un tuffo nella realtà ed è davvero traumatizzante per l’organismo. Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi, ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio. La via per la disperazione è rifiutare ogni tipo di esperienza, e il romanzo è senz’altro un modo di fare esperienza».
Nella stessa lezione dirà allora che cosa è lo scrivere: «I Manichei separavano spirito e materia. Per loro tutte le cose materiali erano male. Ricercavano lo spirito puro e tentavano di avvicinare l’infinito direttamente, senza alcuna mediazione della materia. Questo è quanto mai lo spirito moderno, e per la sensibilità che ne è contagiata, è difficile se non impossibile scrivere narrativa, poiché la narrativa è più che mai un’arte incarnatoria».
Che cosa è questa incarnazione? Emerge prepotentemente nel racconto Un brav’uomo è difficile da trovare. È la storia di una normalissima famiglia che durante una gita domenicale in Florida viene assassinata dal Balordo criminale da poco evaso dalla prigione. La Nonna è il fulcro su cui ruota la sorte della famiglia, è lei che spinge per imboccare la piccola strada inghiaiata ed è sempre lei che porta il gatto causa dell’incidente e della morte di tutta la famiglia.
I personaggi sono tutti messi di fronte alla morte in modo inaspettato, quasi grottesco. Rispondendo a questa accusa l’autrice dirà che invece che grottesco è semplicemente letterale, letterale come può essere il disegno di un bambino. Questa è la forza delle brevi storie raccontate dalla O’Connor: la semplicità con cui viene trasmessa la realtà, la facilità con cui viene messo in mostra il male, senza nessun problema morale o esagerazione. Ed è attraverso questo schianto che i personaggi vengono preparati alla grazia: per Parker era l’incidente contro un albero e la rischiata incenerizione, qui è la pistola puntata alla tempia.«Hanno la testa così dura che non c’è quasi altro sistema. L’idea che la realtà sia qualcosa alla quale dobbiamo essere ricondotti a caro prezzo è di rado compresa dal lettore superficiale, ma è un’idea implicita nella visione cristiana del mondo».
In questo caso la grazia emerge nel dialogo finale una volta che il Balordo e la Nonna rimangono soli, si sentono in lontananza due spari e le grida dei due nipotini. E la radicale posizione dei due personaggi: «“Gesù” gridò la nonna. “Lei ha buon sangue! Io so che non ucciderebbe mai una signora!… Le darò tutti i soldi che ho!” “Signora” sospirò il Balordo, “non c’è mai stato un morto che abbia dato la mancia al becchino”. “Gesù è stato l’unico a resuscitare i morti”, riprese il Balordo. “E non avrebbe dovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all’aria. Se ha fatto quello che ha detto, allora non ci resta che gettare tutto e seguirlo; se non l’ha fatto, allora non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa.. Non c’è piacere al di fuori della cattiveria”».
Il dialogo prosegue ma non possiamo riportarlo qui, vale la pena scoprirlo e leggerlo tutto d’un fiato, ed essere grati della schiettezza con cui la O’Connor ci riporta alla vera dimensione esistenziale, del dialettica tra il vero Bene e il vero Male.