A quanto ammonta il nostro debito nei confronti della grecità? Quanto è decisiva la radice greca nella formazione della nostra identità culturale? Tentare una risposta a queste domande è molto difficile. Lo specialista potrebbe rispondere che già il termine grecità si presta a differenti interpretazioni: la grecità di Omero è diversa dalla grecità di Atene e della polis, e questa è diversa dalla Grecità dell’epoca ellenistica o dell’impero romano. Eppure è difficile negare che, al di là di tutte queste distinzioni, i termini “greco” e “grecità” evocano un contenuto preciso.



La cultura greca si atteggia in modo diverso a seconda delle epoche e delle località, perché ogni città ha la sua cultura, i suoi culti, la sua parlata, eppure, al di là delle differenze e dei particolarismi talvolta esasperati, i Greci hanno un forte e radicato sentimento di appartenenza a una patria e a una cultura comune. Nonostante il mutamento delle condizioni storiche, Omero continuò sempre a essere un patrimonio comune per tutta la Grecia: vi sono prodotti dell’arte, del pensiero, della letteratura che si possono definire solamente come greci, anche se stabilire le ragioni di questa sensazione è difficile.



Ogni tentativo di riassumere il contenuto intrinseco della grecità finisce per rivelarsi, a un’analisi più attenta, incompleto. Nei secoli passati si vide come costante della cultura greca l’amore per la bellezza, e sulla scia di questa intuizione si crearono opere di grande fascino (si pensi, per fare un nome, a come Canova fece rivivere gli ideali della classicità): una visione certo fondata, ma incompleta, perché, per rifarci a un’espressione (discutibile, ma incisiva) di Nietzsche, la cultura e l’arte greca hanno in sé la perfezione di Apollo, ma anche la forza giovane, violenta, scomposta di Dioniso.



Un libro del 1951 di Eric Dodds (I Greci e l’irrazionale) mise in crisi la visione tradizionale della Grecia patria della bellezza e della razionalità, per mostrare quanto peso avesse nel mondo greco la percezione dell’irrazionale. Nella natura, e nell’interno dell’uomo, esistono pulsioni dirompenti e incontrollabili, e l’uomo deve fare appello alla sua capacità di dominio (la sophrosyne, per usare il termine greco) per far prevalere l’aspetto razionale: la misura e la moderazione dell’uomo greco sono il risultato di una conquista.

L’aver saputo contemperare queste tensioni in una sintesi originale costituisce forse una delle essenze della cultura greca. I Greci hanno inventato la filosofia e hanno indagato la potenza del logos, e ne hanno avvertito la forza sia costruttiva sia distruttiva. Il logos è la capacità di ragionare e il suo scopo è quello di raggiungere la verità, ma occorre fare del logos un uso corretto: poiché parola e ragionamento hanno un potere di seduzione sconfinato, se li si pone a servizio del male e della menzogna i risultati possono essere devastanti.

Socrate diceva ai suoi discepoli che una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. La ricerca di Socrate si fonda (laicamente, diremmo oggi) sull’uso della ragione, valorizzata fino alle sue estreme possibilità: la ragione è ciò che abbiamo in comune con gli dèi, è ciò che fa dell’uomo un essere speciale e unico nel creato. Ma Socrate sa anche che per rispondere alle domande fondamentali che l’uomo si pone (a che cosa serve la vita? come è regolato il mondo in cui viviamo? esistono gli dèi?) la ragione da sola non basta.

Accanto al logos c’è il mito, a cui pensatori come Platone ricorrono come forma di conoscenza alternativa. Per superare il limite oltre il quale la ragione non può avventurarsi si deve supplire il logos con altri mezzi di conoscenza, per esempio l’estasi (ekstatis), la varie forme di mania (le esperienze di trance, l’ebbrezza, l’ispirazione poetica), quegli stati insomma in cui la ragione sembra uscire da sé per librarsi in una zona intermedia tra terra e cielo. Meglio ancora sarebbe, dice Platone (Fedone 85 d), se ci si potesse affidare a un logos divino: ma per il greco c’è davvero ben poca speranza che qualcuno scenda dal Cielo per mostrarci le cose di lassù. È certo comunque che c’è altro fuori e sopra di noi, e occorre quindi che la ragione sia continuamente aperta al mistero.

Un altro aspetto vorrei richiamare. Nata e cresciuta nell’ambito di una regione geografica ristretta (la Grecia e le sue isole) e sviluppatasi nella dimensione angusta del borgo (perché tale era la polis della Grecia classica), la cultura greca ha progressivamente elaborato una visione del mondo improntata al cosmopolitismo. Lo spazio dell’uomo è l’ekumene, la terra abitata. L’uomo è cittadino del mondo, ed è chiamato a operare per trasformarlo e renderlo adatto alle sue necessità. In questo modo di vedere la realtà è insito un ideale di progresso che dai Greci è arrivato fino a noi.

Queste due dimensioni hanno permesso alla cultura greca di avere un ruolo propulsivo anche presso altre culture. Il detto dei Romani che “la Grecia conquistata conquistò il fiero vincitore” è ben più che una battuta. Per Roma l’incontro con la Grecia fu un fattore decisivo: nessun dubbio che Virgilio sia diverso da Omero, ma la poesia di Omero ha reso possibile Virgilio, e dopo di lui una tradizione poetica che si è rinnovata per secoli. Grazie al suo respiro universalistico la cultura greca poté essere accolta senza provocare risentimenti di natura nazionalistica: in fondo la sua diffusione all’Oriente mediterraneo fu opera di un personaggio che greco non era, Alessandro il Macedone. La Grecia consegnò a molte altre culture i mezzi per esprimersi e per pensare, per essere e capire sé stessi.

Nella convinzione che soltanto facendo propri i frutti maturi del pensiero greco si poteva elaborare una cultura originale, Armeni, Siri, Georgiani, Copti, Arabi e altri ancora tradussero e fecero propri una quantità di scritti greci, ed era un segno di vanto e di distinzione per i dignitari arabi (musulmani) avere nella propria corte maestri greci (cristiani) da cui imparare i principi della filosofia e della scienza.

L’incontro col Cristianesimo fu un fatto di importanza straordinaria. Nel momento in cui il Cristianesimo divenne la religione dell’ekumene, i cristiani avviarono un consistente processo di rivalutazione del pensiero greco. «Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione», ci ricorda Benedetto XVI (discorso di Ratisbona). Mentre la cultura greca pagana della tarda antichità si dissolveva in un misticismo sempre più nebuloso, sulle radici greche il mondo cristiano faceva germogliare un tronco giovane e nuovo, che avrebbe permesso anche il recupero e la trasmissione alle generazioni successive (fino alla nostra) dei prodotti più vivi della Grecità pagana.