Quella che leggerete nelle prossime righe è una recensione politicamente scorretta: mi sembra un doveroso avvertimento. Mi è capitato di visitare a Torino le due più importanti e impegnative mostre allestite in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia. Non ero attratto tanto dal tema in sé, ma dal fatto che per l’allestimento di questi due appuntamenti, alle Officine Grandi Riparazioni e a Venaria Reale, fossero stati chiamati due soggetti che, per l’esperienza di “divoratore” di mostre che mi sono fatto, rappresentano il meglio sulla piazza. Da una parte, alle Officine, è arrivato Studio Azzurro, straordinario gruppo milanese che negli anni ha affinato soluzioni espositive sempre più sofisticate e spettacolari (è loro ad esempio l’allestimento della mostra celebrativa di De André, partita da Palazzo Ducale a Genova). Dall’altra parte, alla Venaria, l’accoppiata Luca Ronconi Margherita Palli, un marchio che ha firmato alcuni dei più begli spettacoli teatrali prodotti in Italia (ma anche mostre: come quella bellissima di Sebastiano del Piombo a Palazzo Venezia).
Ebbene, le premesse c’erano perché si vedesse qualcosa di finalmente significativo dopo tanta fuffosa retorica sull’unità d’Italia che ci è stata propinata in questi mesi. Purtroppo le cose si sono rivelate del tutto diverse.
Alle Officine Grandi Riparazioni, un enorme edificio dismesso, che all’origine fu un centro d’avanguardia nella riparazione di locomotive e carrozze ferroviarie, anello importante nel sistema della grande Torino industriale del primo Novecento, c’era l’appuntamento più curioso: Fare gli italiani, un percorso studiato da Walter Barberis e Giovanni De Luna. Un percorso dall’impatto straordinariamente spettacolare, grazie al modo con cui Studio Azzurro ha saputo gestire questi giganteschi spazi come un unico palcoscenico senza soluzione di continuità.
All’inizio, ad esempio, alcuni grandi schermi su cui viene sinteticamente rappresentata la vita delle principali città italiane, si alzano e si abbassano lasciando intravvedere sul retro lo snodarsi sorprendente del percorso. Sin qui tutto bene. Ma man mano che si avanza ci si chiede quale sia l’idea che sta dietro (e quindi giustifica) questa macchina espositiva tanto perfetta e gigantesca. Invece le 13 isole tematiche si rivelano via via delle rappresentazioni di ovvietà sconcertanti.
Di cose tutte risapute e masticate in tanti anni di studi sui libri di scuola e in mille appuntamenti stancamente celebrativi. Sostanzialmente un enorme bigino, che invece di essere confezionato alla bell’e buona e con copertine sgualcite al primo sfoglio, è stato affidato al miglior art director in circolazione. Ma bigino comunque resta. Tanto più che le 13 isole tematiche girano alla larga sia da alcuni nodi altamente drammatici (il terrorismo, ad esempio), sia da quelli più interessanti (la capacità si autorganizzazione della società italiana e la sua “imprenditorialità sociale”: una vocazione forse un po’ colpevole di antistatalismo?).
Alla Venaria invece sembra di visitare una di quelle mostre da esportazione, con cui si cerca di tener alto il marchio dell’Italia in paesi commercialmente interessanti. Ma qui siamo in Italia e per di più in una città economicamente abbastanza depressa. Così le bellezze italiane affastellate, con salti di qualità che agli occhi di un giapponese possono sfuggire ma a un italiano no, sembrano un po’ come quelle torte di matrimonio esagerate che arrivano a stomaco già strasazio. E l’allestimento di Ronconi questa volta non riesce davvero a far digerire questa millefoglie un po’ insensata.
Ovviamente uscendo dalle due mostre il pensiero corre a chiedersi, “ma quanto saranno costate?”. Da una breve indagine risulta che il conto sia di 3,6 milioni per quella alle Officine e di 6,2 per quella di Venaria. Un pacchetto di 10 milioni. La visita è stata fatta nel sabato di Pasqua, con Torino affollata di turisti e una coda chilometrica al museo Egizio. Alle Officine eravamo in poche decine di visitatori. Dalle classifiche la mostra risultata tra le più visitate d’Italia, evidentemente perché ben imbottita di visite scolastiche (ma, mi chiedo, che ne è dei ragazzi passata la terza o quarta isola? È la solita idea dello studente-imbuto…). La Venaria, come da tradizione, è meta giustamente prediletta per i pullman di pensionati.
A volte in Italia il problema non è che mancano i soldi per la cultura. Il problema è che troppo spesso la cultura è ridotta a scatola vuota.