Si continua a parlare di “ceto medio”, come fosse un monoblocco con caratteristiche proprie. Ma più passa il tempo e più diventa chiaro come invece ci siano tanti “ceti medi”, ciascuno con proprie caratteristiche e orizzonti. Ci sono gli autonomi e gli artigiani, i dipendenti pubblici e quelli privati, gli impiegati e i commercianti. Tutti con un proprio profilo, non più riducibili ad una rappresentazione di comodo e, soprattutto, non più analizzabili come un coerente sistema di valori e di interessi rappresentabile unitariamente in politica.



Ci vuole allora un nuovo racconto dei ceti medi, per provare a capire cosa si sta muovendo dietro il sommovimento politico cui stiamo assistendo in questi mesi. Una nuova narrazione sociale, che deve necessariamente partire dalla descrizione dei valori, delle disposizioni ideali, delle prospettive.

La storia della modernizzazione ci ha consegnato l’immagine di ceti laboriosi, tendenzialmente conservatori nei valori di fondo, ma riformisti il giusto rispetto alle esigenze della società e della politica. Ai ceti medi si deve in fondo la nascita del welfare state, il grande compromesso che in cambio di diritti universali ha permesso un’ampia protezione sociale per i ceti più svantaggiati.



Ma è ancora questo il profilo di un ceto medio diventato plurale, segmentato al proprio interno, politicamente disgregato? Difficile a dirlo, perché non si hanno solide controprove di ricerca su questo terreno scivoloso e complesso. Ma qualche primo elemento si può proporre, utilizzando le informazioni più aggiornate della European Values Survey, un’ampia ricerca sui valori degli europei la cui ultima “ondata” ha registrato le informazioni nel 2009.

L’immagine di fondo è di un’ancora sufficiente coerenza sul fronte dei valori di fondo, che però non mostrano più quei caratteri di tipo conservatore che hanno strutturato l’immaginario tipico delle classi medie del nostro Paese. È un ceto che continua a pensare al matrimonio come a un’istituzione da difendere e che non giustifica l’aborto, ma contestualmente accetta senza problemi divorzio ed eutanasia, in modo assai più ampio di quanto non accada invece tra gli altri ceti.



Avanza dunque il relativismo, in modo molto massiccio tra il gruppo più rilevante, quello degli impiegati. E ancora, i ceti medi nel loro complesso appaiono più tolleranti nei confronti dell’omosessualità, ma quanto alla possibilità che i gay possano avere dei figli la loro disponibilità diminuisce molto.

Le differenze interne si mostrano però compiutamente quando si indagano dimensioni di confine con la costruzione del bene pubblico. I ceti medio/alti (dirigenti, commercianti e professori) mostrano un interesse per la politica che non ha eguali, confermando la loro tendenza ad essere “riflessivi”, mentre gli altri, gli impiegati, gli artigiani e i piccoli lavoratori autonomi sembrano aver perso per strada ogni interesse e forse ogni speranza politica.

Come un tempo, e abbastanza compattamente, continuano a pensare che il valore più importante da proteggere sia l’eguaglianza rispetto alla libertà individuale. E per arrivare a questo risultato continuano ad essere i più riformisti e i meno conservatori, ma gli artigiani e i piccoli autonomi, maggiormente delusi dalla politica, sono quelli che chiedono più di tutti un cambiamento radicale della società. Magari non la rivoluzione a mano armata, come si professava negli anni Settanta. Ma certamente nemmeno i passi brevi e incerti che la politica sembra aver loro riservato in questi anni. Anche perché sono proprio loro, i “piccoli”, a dover fronteggiare la concorrenza proveniente dalle nuove popolazioni immigrate, tanto che mentre i ceti medio/alti mostrano un’ampia apertura agli stranieri, artigiani e autonomi appaiono decisamente restrittivi, dichiarandosi molto più preoccupati rispetto al resto del ceto medio per quanto riguarda la possibilità che l’immigrazione diventi una minaccia per la società oltre che un problema dell’oggi soprattutto in termini di ordine pubblico.

Impiegati, artigiani e partite iva mostrano proprio per questi motivi un elevata sfiducia nei confronti delle istituzioni parlamentari, ma al tempo stesso anche il minor livello di fiducia nei confronti della Chiesa (come risultanza di una minor propensione alla religiosità che giunge fino ad un’ampia professione di ateismo). E per conseguenza sono anche i più decisi nel chiedere alle autorità religiose di non intervenire direttamente nella vita politica per influenzarne le scelte.

Politicamente i ceti medi nel loro complesso appaiono ancora collocati vicino al centro dello schieramento, ma mentre i ceti medio/alti propendono maggiormente per il centrosinistra, artigiani e autonomi si collocano maggiormente sul centrodestra. Mentre gli impiegati domandano con forza una maggior presenza dello Stato per provvedere ai bisogni delle persone.

Sono questi i nuovi ceti medi disuniti. Difficili da catturare, perché portatori di interessi ormai divergenti tra loro. Culturalmente ondeggianti tra orientamenti tradizionali e un relativismo etico che ne avvolge ampi segmenti. E dunque privi di una comune visione delle cose, soprattutto nello spazio pubblico. Spiegare in questo modo la crisi del berlusconismo e magari anche la ventata populista cui stiamo assistendo è forse azzardato. Ma la sensazione è netta: le vecchie categorie con cui la politica racconta il suo rapporto con la società sono ormai merce scaduta.

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