Quarant’anni fa, il 28 giugno 1971 moriva Mario Apollonio, ordinario di Letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano. Sulla bacheca che di solito segnala l’orario di ricevimento dei professori un cartellino scritto a mano riprendeva le parole della liturgia: eorum vita mutatur, non tollitur (la loro vita non è tolta, ma trasformata). Per chi lo visse, quello fu un episodio commovente, perché all’affetto per il maestro si mescolava la fede dei semplici, entrambi non così ovvi tra i chiostri universitari.



Nato nel 1901 in provincia di Brescia, laureato nel 1923 in filologia moderna con una tesi sul linguaggio nella Commedia dell’Arte, partecipe della Resistenza, Apollonio intraprese la carriera di insegnante liceale e divenne poi docente di letteratura italiana presso le università di Oslo, di Urbino e alla Cattolica di Milano. Studioso di storia del teatro, precursore di una disciplina che non aveva ancora una propria autonomia, valorizzò oltre al testo letterario l’arte teatrale nel suo complesso, considerata fino a quel momento fenomeno effimero ed evanescente. Fu per breve tempo con Giorgio Strehler e Paolo Grassi fra i promotori della nascita del Piccolo Teatro di Milano.



Nella Storia della letteratura italiana egli chiama l’operazione critica atto di vita, cammino verso la verità, dove ciascuno scopre quanto ritrova di sé e capisce quanto più si impegna. Per lui lo studio del testo letterario è vicenda che va da uomo a uomo, come è sempre la vita, attività in cui il lettore conosce uomini, i poeti, nei quali è disceso il segreto inattingibile della poesia, e insieme un uomo, se stesso, immensamente ricco della vita di tutti.

Scorrendo il volume, ci si imbatte in tanti suggerimenti utili a comprendere periodi e autori secondo quel metodo di immedesimazione con ciò che di più intimo l’uomo vive in tutti i tempi, secondo varie modalità.



Uno riguarda la civiltà medievale nel suo insieme, che Apollonio descrive così: “La cultura medievale è arditamente intellettuale, perché riconosce i diritti primordiali della ragione. È una cultura che esplora, discute e riconosce il primato del divino nell’umano, il primato della metafisica nella filosofia, il primato dell’essere nell’esistere. Ma riaffermando il primato della carità sulla sapienza, l’ascetismo religioso insorge e ripropone la concretezza della vita unitiva e l’imitazione di Cristo”.

Nell’accostare la figura di Leopardi, Apollonio sembra inchinarsi di fronte alla grandezza di chi indaga il segreto perché e non trova risposta: “La sua è la storia di un’anima intenta che cercava in sé sola le ragioni del suo essere e prima troncava ad uno ad uno i legami che l’univano ai fantasmi della storia e della dottrina. Le sue disperate verità sono di sempre, non di un tempo né d’una persona. Rinnegata la storia e negata la Provvidenza, procede oltre e s’imbatte nella necessaria, indifferente Natura, alla quale riconosce leggi sue proprie e scopi remoti, impenetrabili all’intelligenza umana, anzi estranei a lei, diversi”.

Di particolare rilevanza in questo centenario dell’Unità d’Italia è il giudizio su uno dei più controversi protagonisti del mondo culturale di allora: “Il mondo spirituale del Risorgimento trova nell’opera di Francesco De Sanctis una delle sue sintesi più memorabili: opera critica, e, perciò, volta a chiarire, ad accertare, a disciplinare; ma nello stesso tempo opera animata da una ispirazione profonda, ricca di quell’umanità delicata e forte ch’ebbero i migliori di quel tempo eroico e pio, vasto come un’epopea”.