Non è facile definire il fenomeno del samizdat, l’autoeditoria clandestina che ha caratterizzato per decenni l’URSS e i suoi paesi satelliti. Spesso chi ha provato a inquadrarlo, delimitandone l’ampiezza e gli argomenti, si è trovato in mano corpose antologie di testi di ogni tipo, mescolati a graffiti di periferia e cuoricini incisi sugli alberi: non è forse anche questa una forma di “autoeditoria clandestina”? Come scrisse Bukovskij, “sono io a comporlo,  rivederlo,  censurarlo,  pubblicarlo,  diffonderlo, e sono io ad andare anche in galera per questo”.



Pare che il primo ad usare il termine samizdat sia stato il poeta russo N. Glazkov negli anni ‘40, quando siglò copie delle sue poesie con la scritta “samsebjaizdat”, “pubblicato da me”, che faceva il verso ai nomi delle varie editrici statali “Gosizdat, Politizdat” … Da lì il termine si è poi diffuso oltre l’URSS, e con l’Occidente iniziò pian piano una fertile e altrettanto rischiosa attività di import-export di testi.



In sostanza nel samizdat circolava tutto ciò che, per ragioni ideologiche, non poteva essere pubblicamente stampato e diffuso nei paesi comunisti: appelli, denunce, letteratura, saggi, musica, pittura, compresa la letteratura religiosa. Non si tratta affatto di un fenomeno limitato a cerchie di intellettuali, perlopiù comunisti riformisti o membri dell’emigrazione. L’esperienza del samizdat coinvolse ampie fasce di popolazione, a vari livelli ovviamente: c’era chi lo produceva, chi lo diffondeva, chi semplicemente ne fruiva e anche chi ufficialmente lo sequestrava…

Il samizdat religioso ceco e slovacco, ad esempio, costituisce una buona fetta dell’intera produzione locale di letteratura clandestina. Notiamo che con “religioso” intendiamo il samizdat prodotto da credenti, che potevano trattare temi non necessariamente spirituali.



Ha detto l’attuale vescovo ausiliare di Praga, V. Maly: “I credenti compresero che non dovevano stare passivamente ad aspettare i risultati del dialogo tra il Vaticano e il governo, e si lanciarono nell’attività editoriale e pubblicistica con grande entusiasmo, certi che proprio questo modo d’agire, nonostante la minaccia delle repressioni, fosse il loro primo dovere di cristiani… Singole parrocchie, comunità di famiglie e religiosi, tutti pubblicavano qualcosa… Il punto che accomunava queste iniziative era il desiderio di riflettere profondamente sulla responsabilità cristiana, di custodire i valori della tradizione e di rendere più salda la coscienza cattolica nella sua più profonda verità e nell’appartenenza alla Chiesa universale”.

E ce n’era per tutti i gusti: nella sola Slovacchia, zona – ci si passi il termine – “di provincia”, c’erano Svetlo per i bambini, Zrno per i giovani, Rodinne spolocenstvo per le famiglie, almeno 3 titoli per chi aveva il pallino della cultura, Radost a Nadej per i filosofi, i Bratislavske Listy di contenuto più politico, e altri periodici di informazione generale… Altro che fenomeno per post-marxisti o élite culturali!

Il samizdat era prodotto con varie tecnologie: dalla macchina da scrivere con la carta carbone (correggere un errore su più fogli diventava in questo caso un’impresa disperata), al ciclostile, al più moderno offset. La tiratura poteva raggiungere anche i 1000 esemplari, ma dipendeva dai mezzi, dalla disponibilità di carta e collaboratori: realizzare un testo di 100 copie di 60 pagine l’una necessitava di diverse settimane di rischioso lavoro.

Qualche perla trovata qua e là spulciando nel samizdat ceco? Sul numero di aprile-maggio 1981 del bollettino di Charta 77 uscì uno dei pochi testi della Fallaci tradotti in ceco fino ad oggi: la sua intervista all’elettricista Walesa,  pubblicata dal Corriere: “La famosa giornalista italiana ha visitato Varsavia per incontrare il leader degli operai polacchi al quale ha chiesto se il suo movimento assumerà i metodi di lavoro comunisti («Piuttosto mi sparerei»), se intende emigrare («Non potrei mai lasciare la Polonia»), la sua opinione su Reagan («Gli voglio molto bene»), sulla fede («Non potrei fare niente contro la fede») e sulla libertà in cui crede («Dev’essere ottenuta passo dopo passo, lentamente»)”.

Un altro episodio curioso fu il giro compiuto dalla Lettera ai cattolici del sacerdote ortodosso russo Dudko, uscita clandestinamente dall’URSS per essere pubblicata in Italia su “Russia Cristiana” (luglio ‘77) e “rientrata” all’Est sul periodico ceco Informace o Cirkvi (2/1980) che la riprendeva citandola dalla rivista italiana!

Infine Informace o Charte pubblicò sul n. 9/1984 una lettera della signora Sustrova alla Thatcher in cui si lamentava di aver trovato, nei muri di casa, una cimice identificata dal codice “2390 – Made in UK JU 359”, “il che, se non erro, significa che è stata prodotta nel paese che Lei rappresenta”. La lettera fu sequestrata durante la perquisizione domiciliare del giorno successivo, quando la polizia le sottrasse anche la cimice di fabbricazione inglese.