Incontrando oltre seimila persone convenute in Vaticano sabato 21 maggio in occasione del pellegrinaggio per il novantesimo anniversario della fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, papa Benedetto XVI, nel suo discorso in Aula Paolo VI, è tornato a riflettere su un tema che da alcuni anni gli sta molto a cuore: l’università. Prima che iniziasse l’udienza, alcuni studenti hanno letto diversi passaggi tratti dall’Idea di Università, una delle opere più importanti del cardinale John Henry Newman (1801-1890), scritta quando egli, tra il 1851 e il 1858, era Rettore dell’Università Cattolica d’Irlanda.



C’è sicuramente, in questa circostanza, il richiamo a ciò in cui si deve sostanziare la missione dell’ateneo dei cattolici italiani: essa consiste innanzitutto nel fatto che (newmanianamente) una cultura cattolica non può permettersi di considerare il riferimento religioso soltanto come un’aggiunta estrinseca al curriculum di studi e al contenuto dei singoli insegnamenti.



Il Papa ha infatti detto che “il nostro tempo è tempo di grandi trasformazioni” e che alla tendenza (che lo caratterizza) “a ridurre l’orizzonte umano al livello di ciò che è misurabile e […] a confinare la ragione fuori dagli spazi della razionalità” è necessario opporre, in nome di una humanitas che solo la fede è in grado di irrorare della sua più preziosa linfa vitale, un’autentica “passione per la questione dell’Assoluto”. Si tratta di una passione per la Verità, e quindi per la teologia (nella sue due forme di teologia razionale e di teologia rivelata), la quale, però (è questo forse il passaggio più significativo del discorso del Santo Padre), non deve essere intesa soltanto come una materia che si aggiunga alle altre, in quanto, invece, “l’orizzonte teologico può e deve valorizzare tutte le risorse della ragione”. La questione della Verità e dell’Assoluto, ha continuato il Santo Padre, “non è un’investigazione astratta, avulsa dalla realtà del quotidiano, ma è la domanda cruciale, da cui dipende radicalmente la scoperta del senso del mondo e della vita”.



Come è infatti possibile apprendere dalla vita e dall’opera di Newman, anche l’introduzione dell’elemento religioso nell’istituzione accademica (che si sostanzia nell’insegnamento teologico) rischierebbe, ultimamente, di fare il gioco di quella modernità ruotante attorno al “dogma” dell’assoluta autosufficienza umana, se non si accompagnasse all’idea secondo la quale la domanda teologica è la stessa domanda di senso che dovrebbe animare tutte le discipline.

Solo in quest’ottica risulta, in altre parole, possibile superare l’ultima declinazione nella quale prende forma il dogmatismo laico dei nostri giorni: Dio, se c’è, non c’entra, perché l’unica verità è il relativismo il quale, per definizione, è disposto ad accettare tutto (anche Dio), a patto che nulla (nemmeno Dio) abbia la pretesa di proporsi come verità comprensiva per l’uomo. Il Papa è stato uno dei pochi ad accorgersi che, nell’affermare ciò, il relativismo si contraddice, in quanto, mentre sostiene di basarsi sull’esclusione della nozione di verità assoluta, propone se stesso come verità assoluta, rifiutando la possibilità di essere messo in discussione.

Benedetto XVI è un grande estimatore e studioso del pensiero di John Henry Newman, il quale pagò di persona per la sua battaglia contro il relativismo dell’Università di Oxford della metà dell’Ottocento: per aver infatti avanzato (alla fine degli anni Venti) la proposta di rafforzare il ruolo del tutor in università, dovette dimettersi dall’incarico di tutor a causa dell’ostilità delle massime autorità accademiche che (vista la provenienza ecclesiastica della gran parte dei tutors) vedevano nella sua proposta un modo per favorire la componente religiosa. Ma era proprio questo ciò che Newman (ancora anglicano) intendeva fare, “senza se e senza ma”; e lo avrebbe riproposto oltre vent’anni dopo, da cattolico, quando, per la neo-eretta Università cattolica d’Irlanda (voluta da papa Pio IX e di cui fu primo Rettore), pensò a un sapere la cui garanzia di liberalità era la teologia, considerata non solo come disciplina tra tante, ma come disciplina architettonica.

La Santa Messa nella Basilica Vaticana (concelebrata dall’arcivescovo di Milano card. Dionigi Tettamanzi, da mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, dal vescovo di Piacenza-Bobbio, mons. Gianni Ambrosio e da diversi altri sacerdoti, molti dei quali assistenti spirituali della Cattolica) e l’udienza col Santo Padre in Aula Paolo VI segnano una tappa importante non solo per la storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ma per la coscienza universitaria cattolica (e non solo) del nostro Paese.

Tutti i grandi eventi nascono (come si sa) dalla mente di qualcuno, ma di questo evento è possibile dire che (almeno da un certo momento in poi durante i giorni di preparazione) è stato fortemente voluto anche dagli studenti, che al termine dell’udienza si sono recati (attraverso alcuni loro rappresentanti) a salutare il Papa. Hanno parlato a Benedetto XVI della loro università, consapevoli che essa è innanzitutto degli studenti (“il bene più prezioso e caro in una famiglia universitaria”, li ha definiti il rettore Lorenzo Ornaghi nel suo indirizzo di saluto al Santo Padre) e per sapere da lui cosa significa, per un’istituzione accademica, l’essere cattolica.

Quanto la caratteristica della cattolicità differenzia un’università dalle altre le quali, pur dovendo trasmettere un sapere universale che non può non intrattenere legami anche molto forti col cattolicesimo, non sono cattoliche né de iure e né de facto? Ateneo cattolico vuol dire anche (o solo in parte) conformità al Magistero della Chiesa? In cosa consiste la libertà di coscienza del docente e dello studente cattolici? Anche in queste domande prende corpo quella “onestà intellettuale di ogni ricercatore”, della quale ha parlato nella sua omelia il cardinale Tettamanzi.