Nulla m’allieta tanto che consoli. Nel verso di Saffo si riassume non solo la disillusione amorosa della poetessa greca, ma una condizione universale dell’animo umano che riflette sul fatto, non certo raro, della sua insoddisfazione.
Da uno dei Fioretti di San Francesco viene una risposta tanto paradossale quanto concreta, raccontata dall’anonimo autore del tardo Trecento, che ha raccolto in quest’opera alcuni episodi della vita del santo di Assisi per i suoi molti seguaci, che non conoscevano il latino. Nel racconto, ambientato in Umbria, durante un rigido inverno, san Francesco spiega al suo compagno frate Leone che cosa sia la perfetta letizia, non con un sermone, ma partendo dalla condizione disagiata di due viandanti sotto il gelo, come se quella fatica del fisico lo richiamasse ad altri pensieri.
Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Leone il quale andava poco innanzi, e disse così: “O frate Leone, avvegnadio che i frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione; nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è ivi perfetta letizia
.
Quattro volte ancora san Francesco chiama frate Leone e gli dice si scrivere che non è perfetta letizia se anche il frate minore facesse tutti i miracoli, conoscesse le lingue e i segreti delle coscienze, sapesse il corso delle stelle e le virtù delle piante e di tutti gli elementi della natura, e infine se sapesse predicare così bene da convertire tutti gli infedeli. Siamo molto distanti dalle varie riduzioni a cui è stata sottoposta nei secoli una figura come quella del santo, visto ora come penitente, ora come amico degli animali, ora come ecumenico portatore di pace. Siamo più vicini al Vangelo, in cui Gesù avverte i discepoli di rallegrarsi perché il loro nome è scritto nei cieli.



E durando questo modo di parlare bene due miglia, frate Leone con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia”. E santo Francesco gli rispose: “Quando noi giungeremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo la porta del luogo, e il portinaio verrà adirato e dirà: ‘Chi siete voi?’ e noi diremo: ‘Noi siamo due de’ vostri frati’; e colui dirà: ‘Voi non dite vero, anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri: andate via’; e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame insino alla notte; allora se noi tante ingiurie e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbazione e senza mormorare di lui, e penseremo umilmente e caritativamente che quello portinaio veramente ci conosca, e che Iddio il faccia parlare contro a noi; o frate Leone, scrivi che ivi è perfetta letizia.
Con la simmetria tipica del gusto medievale ancora quattro volte san Francesco descrive il seguito di quella fraterna accoglienza: quando il portinaio li caccerà con parole villane, e poi per allontanarli li prenderà per il cappuccio, li getterà a terra nella neve e infine li picchierà con un bastone nodoso: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali noi dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Leone, scrivi che in questo è perfetta letizia.
Nel tono quasi fiabesco della narrazione, la situazione immaginata ha molti elementi concreti. Ognuno può sostituirvi la sua e forse si accorgerà quanto semplice sia, anche se non facile, essere lieti.

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