Oscar e la dama in rosa di Eric-Emmanuel Schmitt, libricino che supera a mala pena le novanta pagine, non potrà essere trascinato e trattato come il classico romanzone da ficcare sotto l’obrellone tra palette e biglie, perché una volta che lo aprirete in circa un ora di lettura l’avrete esaurito. E in tutto questo vi sarete dimenticati anche di andarci, in spiaggia. Il problema della morte e del senso della vita sono domande che si tende ad evitare, soprattutto in periodo di vacanze, rotocalchi e abbronzature varie. La letteratura diventa mero intrattenimento. In questo racconto Smith ci mostra con delicatezza ed ironia la vita di Oscar, ragazzino malato di cancro, e gli ultimi giorni di degenza nell’ospedale. Attraverso una serie di lettere che invierà direttamente a Dio sotto consiglio di Nonna Rosa, infermiera più anziana, ed ex lottatrice di catch almeno all’apparenza nei suoi racconti funambolici. È grazie a lei che il piccolo malato prenderà l’iniziativa di vivere gli ultimi giorni di vita come la leggenda dei dodici giorni divinatori, ovvero un giorno equivale a dieci anni. Il rapporto di amicizia, insolito, che supera le barriere tra paziente e personale medico nasce soprattutto dal fatto che la donna per quanto buona e premurosa non risparmia nulla al piccolo malato, lo tratta come un uomo:



– Nonna Rosa ho l’impressione che nessuno mi dica che morirò -. Mi ha guardato. Avrebbe reagito come gli altri? – Perché vuoi che te lo dicano se lo sai già, Oscar? –
– Ho l’impressione… Fanno come se si venisse all’ospedale solo per guarire. Mentre ci si viene anche per morire -.
– Hai ragione Oscar, e credo si commetta lo stesso errore per la vita. Dimentichiamo che la vita è fragile, friabile, effimera. Facciamo tutti finta di essere immortali -.



Ma questo libricino non è solo un memento alla fragilità della vita, è un viaggio attraverso tutte le esperienze cruciali e significative di ogni uomo, la differenza è che sono viste con l’originalità e la freschezza di un bambino. Infatti si innamorerà e sposerà con una delle pazienti più belle, la silenziosa Peggy Blue di colore a causa della malattia, percorrendo tutte le fasi del rapporto sentimentale, fino al momento dell’addio all’amata, finalmente guarita e in procinto di lasciare l’ospedale. Litigherà e poi farà la pace con i suoi genitori che faticano ad accettare la sua malattia: “Da quando sono ricoverato in permanenza all’ospedale i miei genitori hanno qualche difficoltà con la conversazione, allora mi portano dei regali e trascorrono dei pomeriggi schifosi a leggere le regole del gioco e l’istruzioni dell’uso… È campione del mondo del pomeriggio domenicale sciupato”.



Altro splendido elemento è la schiettezza delle lettere che Oscar invia a Dio chiedendo il perché di quello che succede, avanzando richieste precise, risposte magari meno irruenti delle prime ricevute:

Caro dio… Oggi ho cent’anni. Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo. All’inizio lo si sopravvaluta: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si rende conto che non era un regalo ma solo un prestito…

Portatelo con voi ovunque andrete per riposarvi, questo libro più che un consiglio di lettura, è un augurio personale per l’estate.