Il fatto è passato un po’ in sordina a dimostrazione di quanto l’informazione culturale in Italia sia ormai ridotta a solo gossip: da un mese, all’interno della sezione moderna dei musei vaticani è stata inaugurata la Sala Matisse.

Si tratta di un insieme eccezionale di opere, che pochi musei in Europa possono vantare, tutte relative allo straordinario progetto della Cappella per le suore domenicane del convento di Vence, in Provenza. Ci sono tutti i meravigliosi “papier decoupés” per le grandi vetrate, c’è il disegno in scala 1:1 della Madonna con il bambino che occupa la parte maggiore della cappella, ci sono le sculture in bronzo che fungono da suppellettile e le meravigliose casule disegnate da Matisse e realizzate dalle suore del convento negli anni 50. È un insieme che commuove e toglie il fiato: probabilmente in nessun altro caso, nel 900, un artista aveva saputo assolvere con tanta semplicità e con tanta grazia ed eleganza a una committenza ecclesiastica. Questo insieme di opere di Matisse sono davvero una gioia degli occhi e una gioia per il cuore.



Del resto la storia della committenza ha dentro di sé quell’elemento di casualità e di sorpresa che ancora oggi lascia stupiti. All’origine della vicenda c’è infatti una modella, Monique Bourgeois che aveva assistito anche nel ruolo di infermiera Matisse tra il 1942 e il 1946, quando l’artista aveva subito un pesante intervento. L’artista si era un po’ invaghito di questa ragazza dolce e così attenta ad ogni sua necessità. Così quando Monique a sorpresa gli annunciò di aver deciso di prendere i voti, Matisse ebbe una reazione di ribellione, e volle chiudere quasi i rapporti. Ma il caso volle che Monique, nel frattempo divenuta soeur Jacques-Marie, venisse destinata proprio nel convento di Vence, dove lo stesso Matisse aveva una casa, abitata negli anni della guerra.



Così poco alla volta fu possibile un riavvicinamento, che si trasformò presto in vero e proprio “innamoramento” dell’artista per la piccola comunità di suore che da tempo desiderava dotarsi di una cappella.

Matisse prese sulle sue spalle con entusiasmo giovanile l’impegno. Il cantiere durò quattro anni, anche perché Matisse aveva più volte rielaborato il progetto approfondendolo e quasi lasciandosi prendere per mano dai suggerimenti che gli venivano dalle suore e in particolare dalla superiora, Agnès de Jesus (le lettere tra lei e l’artista costituiscono un’altra parte del patrimonio acquisito dal Vaticano e verranno pubblicate in autunno).



Scrisse infatti Matisse: «Questa cappella non sono io che l’ho voluta, è venuta da altrove, de plus haut que moi». La paragonava a un “piccolo fiore” rispetto alle grandi cattedrali del passato. E quando Picasso, con la sua abituale brutalità, lo accusò di aver fatto un’opera dal sapore clericale, lui gli rispose con una spiazzante semplicità: «Faccio la mia preghiera, e lei pure e lo sa bene: quello che noi cerchiamo di trovare con l’arte, è il clima della nostra prima comunione». Ben diversa la reazione di un altro grande, Le Corbusier, che arrivato a Vence non si trattenne dallo scrivere una stupenda lettera a Matisse, piena di gratitudine: «La vostra opera mi ha dato uno slancio di coraggio… Questa piccola cappella è una grande testimonianza: quella del vero. Grazie a voi, una volta di più, la vita è bella».

Un’ultima sottolineatura. Tutte le opere di Matisse sono in Vaticano grazie al coraggio e all’intelligenza di Paolo VI, il primo papa che aprì in modo libero e appassionato all’arte moderna. La sezione contemporanea dei musei Vaticani fu una sua decisione. Oggi accade che il più importante museo del 900 che ci sia in Italia sia proprio quello vaticano. L’unico che tra le sue raccolte abbia anche uno “scandaloso” quadro di Francis Bacon. Un sorprendente paradosso che smantella tanti luoghi comuni, circa la chiusura della chiesa alla modernità…

 

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