In un articolo dell’11 giugno scorso, Rodotà si chiedeva se ci sono ancora gli uomini o se siamo già nell’epoca del post-umano. E sottolineava che abbiamo oramai conquistato una tecnologia che consente “di prolungare la vita; ritardare la vecchiaia; guarire le malattie considerate incurabili; lenire il dolore; trasformare il temperamento, la statura, le caratteristiche fisiche; rafforzare ed esaltare le capacità intellettuali; trasformare un corpo in un altro; fabbricare una nuova specie; effettuare trapianti da una specie all’altra; creare nuovi alimenti ricorrendo a sostanze oggi non usate”.
A mio modo di vedere, perciò, occorre riuscire a rendere espliciti i “nessi occulti” tra le strategie politiche in atto nel nostro Paese e le domande che riguardano la condizione dell’essere umano (statuto antropologico) nell’epoca della tecnica dispiegata. Esiste infatti, a mio modo di vedere, un rapporto profondo tra la dimensione della “politica” e la rappresentazione dell’essere umano che ci viene proposta dalla tecnoscienza.
Ciò che penso sia indispensabile alla trasparenza delle nostre riflessioni è che ciascuna presa di posizione di coloro che gestiscono l’opinione pubblica debba essere coerentemente motivata da una chiara visione di ciò che rappresenta nell’epoca attuale l’essere umano e ne spiega i comportamenti in base a quelli che una volta si chiamavano i presupposti etici dell’agire individuale e collettivo.
In un articolo apparso su L’Avvenire del 15 giugno 2011, Edoardo Castagna si interrogava sul ruolo dei nuovi stregoni e sul vicolo cieco della tecnocrazia, commentando un libro di Alessandro Giuliani e di Carlo Modenese. In particolare, Castagna sottolineava come si stia sviluppando l’idea perniciosa di una completa disponibilità e plasmabilità della natura umana che sarebbe soltanto un costrutto sociale modificabile a piacere fino a far dipendere la stessa identità sessuale da una sorta di libera scelta continuamente revocabile e priva di connotazioni sostantive per la configurazione della personalità umana. Nell’articolo si faceva riferimento, in particolare, alla pretesa di riportare l’intera attività della mente umana ai meccanismi di funzionamento dei nostri neuroni e di spiegare, per esempio le scelte affettive di donne e uomini in base al tasso ormonale o a combinazioni chimiche legate al funzionamento neuronale del cervello.
Chi è l’uomo nel senso dell’individuo storico e determinato dell’epoca in cui viviamo al quale riferiamo dunque i nostri discorsi? Un essere libero e consapevole, capace di scegliere il proprio destino, o il mero supporto biologico di una configurazione di stimoli e risposte legate esclusivamente a meccanismi fisiobiologici, determinati o determinabili meccanicamente? Cosa può scegliere l’uomo della nostra epoca tra quelle che sembrano opzioni possibili, e in base a quali criteri possono essere motivate tali scelte?
In base a quale “etica” si può spiegare quanto afferma Barbara Spinelli nell’articolo del 29 giugno 2011, apparso su Repubblica con il titolo suggestivo “Le guerre senza gli uomini sotto gli occhi di Borges”? Spinelli richiama l’attenzione sui caratteri delle guerre contemporanee, combattute da “armi intelligenti” che affidano le scelte dei bersagli e delle traiettorie a “impenetrabili cerchie di tecnici e politici”. Il protagonista delle nuove guerre non è infatti un uomo, come noi siamo abituati a rappresentarlo, ma un “drone”, che guida il missile distruttivo senza che a bordo dell’aereo ci siano esseri umani eticamente responsabili di ciò che accadrà dopo l’esplosione.
In verità, non si può discutere né di guerra, né di identità sessuale, né di futuro della specie umana se non si hanno chiare le implicazioni di ciò che la “ideologia dominante” presenta puramente e semplicemente come un fatto evolutivo della specie umana che, attraverso le conquiste della tecnoscienza, avrebbe oramai conquistato totalmente il controllo degli esseri viventi, fino a determinare le stesse condizioni di una nuova specie, sottratta alle tradizionali remore e limitazioni della cosiddetta coscienza morale.
A mio parere, c’è un nesso profondo, non ancora chiarito, tra le tecnoscienze, la divulgazione trionfante della vulgata scientista e l’idea di una nuova organizzazione sociale in cui il “capitalismo delle reti” è fondato sui flussi informatici e sulla capacità della loro organizzazione per produrre nuove forme di ricchezza. La trasformazione informatica della vita planetaria degli esseri umani corrisponde ad un mutamento dell’etica tradizionale.
Sono convinto, infatti, che una nuova élite nazionale ed internazionale si stia candidando ad assumere un ruolo egemonico rispetto ai grandi processi di trasformazione in atto. Gli elementi di questa egemonia sono principalmente costituiti da una visione dell’essere umano come espressione di aspettative di soddisfazione dei propri bisogni che, però, sono affidati ad una sorta di “diritto illimitato” all’accesso delle possibilità pratiche offerte dal nuovo mondo delle tecnoscienze: scegliere la propria identità sessuale, scegliere liberamente il proprio partner al di là di ogni differenza, scegliere di stare in connessione attraverso la rete con chiunque possa costituire l’interfaccia del proprio avatar, scegliere di abitare in qualsiasi luogo della terra secondo le circostanze, scegliere di esprimersi con qualsiasi mezzo per poter dare spazio alle proprie pulsioni e ai propri desideri.
Un’idea dunque di libertà illimitata che corrisponde alla promessa dell’illimitata produzione di ricchezza che l’apparato tecnoscientifico sembra assicurare oltre i limiti naturali del pianeta: un “apparato” di giudici che garantiscano queste libertà e i correlativi diritti nei confronti di tutti i poteri che pretendono di limitarne l’esercizio; una sorta di società anarchica del godimento fine a se stesso; l’esaltazione dei movimenti spontanei che si formano nella società come pura pressione di bisogni pulsionale ostacolati da condizioni pratiche residuate dai vecchi modelli organizzativi; in prospettiva anche l’assicurazione di un reddito di esistenza che attenui fino a non farle avvertire le enormi disuguaglianze di potere; un sistema politico flessibile e cangiante, orientato dalla sondaggistica e da eventuali referendum di appoggio; una democrazia delle libertà individuali che può continuamente convocare assemblee digitali per definire orientamenti su singoli problemi; intellettuali di nuovo tipo, ispirati alla cultura delle tecnoscienze, legati essenzialmente al sistema mediatico; centralità dei diritti individuali e del sistema giurisdizionale come istanza di composizione transitoria dei conflitti che possono insorgere per l’uso delle risorse comuni.
Le questioni della bioetica, delle riforme della giustizia e del sistema istituzionale, sono in realtà il vero terreno di scontro fra la nuova cultura della “modernizzazione” occidentale e la resistenza “umanistica” delle tradizioni etiche ispirate dalla visione dell’essere umano come libero e consapevole. Nella prospettiva che ho cercato di disegnare, infatti, è evidente che le materie della bioetica – a partire dal riconoscimento dell’assoluta libertà di gestire individualmente il problema della vita e della morte -, non sono affatto riducibili al conflitto fra laici e cattolici, ma spaccano in due il confronto su una questione antropologica che di per sé si sottrae al monopolio esclusivo del mondo religioso e a quello laicista della modernizzazione tecnoscientifica.
Il tema della transizione va oltre le singole questioni della bioetica per porre direttamente a ciascuno di noi il problema di ciò che pensiamo debba essere il rapporto tra Io e mondo, così come il problema dei diritti non può risolversi in una strategia di pretese verso il “Potere”, ma deve radicarsi in una concezione non formalistica della democrazia come partecipazione collettiva alle decisioni. Le questioni appena accennate attraversano in realtà il mondo cattolico e il mondo laico in modo assolutamente trasversale e sarà sicuramente un elemento di chiarezza cercare di definire in modo univoco le “opzioni” che si pongono a ciascuno di noi. Esse riguardano l’intero scenario futuro: andrà avanti il processo di unificazione europea cercando il minimo comune denominatore della convivenza nel nuovo capitalismo e nei nuovi diritti di libertà, legati all’accesso alle informazioni e all’uso delle tecnologie, oppure si svilupperà l’idea di un’Europa legata alle tradizioni culturali umanistiche e alle radici cristiane che sarà capace di diventare un reale punto di riferimento e di incontro con le altre civiltà e con le altre religioni.