Al culmine della sua megalomania e dopo che gli edifici dell’antica Roma repubblicana erano stati ridotti ad un cumulo di macerie da un incendio quasi indomabile, Nerone diede l’avvio alla costruzione della domus aurea, la “casa dorata”, che doveva suggellare la «consapevolezza di una sua mistica e sovrumana superiorità» (Garzetti). L’imperatore colse al volo l’opportunità di ricostruire la città di Roma secondo schemi nuovi e più razionali: questa sua prontezza a trarre un ‘beneficio’ dalla distruzione induce a pensare che Tacito avesse ragione suggerendo, accanto alla versione ufficiale della accidentalità dell’incendio, durato quattro giorni e altrettante notti, ciò che si vociferava: che fosse Nerone il responsabile dell’incendio. Inoltre, il fatto che Nerone avesse trovato nei cristiani – allora per la prima volta comparsi sulla scena dell’impero – i responsabili dell’incendio aumenta le probabilità che Nerone fosse stato costretto a cercare dei capri espiatori a causa delle dicerie sul suo conto.
Ciò che il faraonico disegno di Nerone prevedeva ci è narrato dallo storico Svetonio nella forma più ampia (Vita di Nerone, 31, 1-2). Lo storico racconta che Nerone, essendosi fatto costruire una casa che andava dal Palatino all’Esquilino, la chiamò dapprima “transitoria”, cioè di passaggio – infatti attraversava l’area del Colosseo – poi, fattala ricostruire dopo che il grande incendio di Roma, del 64, l’aveva distrutta, la chiamò “aurea”, sia che fosse per la copertura d’oro sia che lo facesse per richiamare la presenza del dio Sole, col quale si identificava.
A proposito della sua estensione e magnificenza saranno sufficienti i seguenti dati. Vi era un vestibolo in cui era stata eretta una statua colossale con le fattezze di Nerone alta centoventi piedi (35 metri); essa era talmente vasta che conteneva porticati a triplo ordine di colonne, e lunghi un miglio; vi era anche uno stagno simile al mare, circondato da edifici che costituivano quasi una città; inoltre all’interno vi erano campagne con campi seminati, vigneti, pascoli e boschi, con moltissimi animali domestici e selvatici di ogni specie. In tutte le altre parti la costruzione era interamente coperta d’oro, ed era stata abbellita con gemme e madreperla; il soffitto delle sale per banchetti era a tasselli d’avorio mobili e traforati, in modo da poter spargere dall’alto sui convitati fiori e unguenti; la principale di queste sale – probabilmente la sala ottagonale che ancora oggi si può vedere sul colle Oppio – era rotonda e girava su se stessa in continuazione, di giorno e di notte, come il mondo; nelle sale da bagno scorrevano acqua marina e acqua di Albula, acqua solforosa proveniente da una sorgente presso Tivoli. Quando un tale palazzo fu inaugurato, Nerone si limitò a elogiarlo con queste parole: «Finalmente comincio ad abitare come si addice a un uomo!».
Alla Domus Aurea lavorarono, naturalmente sotto la supervisione dello stesso imperatore, gli architetti Severo e Celere, che assecondavano l’imperatore nella sua smania di stupire il genere umano con realizzazioni mai viste prima. Gli affreschi erano opera di Fabullo (meglio che Famulo), uno dei pochi se non l’unico pittore dell’antichità del quale sia possibile identificare le opere. Una particolare attenzione fu messa nel valorizzare gli effetti della luce naturale e i giochi d’acqua di fontane, lungo i corridoi, e di piscine. La grande dimora fungeva anche da museo perché vi erano conservate molte opere della statuaria greca venute a Roma come bottino di guerra.
Il destino della splendida dimora, costruita a tempo di record (dal 64 al 68, anno della morte di Nerone), fu tuttavia legato al ricordo ‘ufficiale’ dell’imperatore: infatti essa venne demolita poco tempo dopo la scomparsa di Nerone per cancellarne il ricordo. Gli ambienti furono riempiti di terra (ciò, tuttavia, ne conservò le decorazioni parietali preservandole dall’umidità) e sopra vennero edificate le terme di Tito, probabilmente coincidenti con gli stessi bagni della Domus Aurea, e in seguito quelle di Traiano, nel 104. L’area della domus neroniana venne riutilizzata per altri scopi dai Flavi, che restituirono al popolo, con intento demagogico, gran parte degli spazi occupati dalla domus di Nerone. Anche lo spazio riservato allo stagno fatto realizzare da Nerone, alimentato dal fiume Euripo, di greca memoria, che ricopre ancor oggi la sepoltura del console del 43 a.C. Aulo Irzio sotto il Palazzo della Cancelleria, venne utilizzato – e così restituito al popolo – per edificare l’imponente anfiteatro flavio, che prese nel Medio Evo il nome di Colosseo dalla statua colossale di Nerone-dio Sole che era stata eretta nelle immediate vicinanze e successivamente fatta demolire da Traiano per costruire il tempio di Venere e Roma.
Il palazzo di Nerone, tuttavia, tornò di grande attualità, quasi risorgendo dalle proprie macerie, sul finire del XV secolo, quando, del tutto casualmente – cioè cadendovi dentro – furono riscoperti gli ampi locali riempiti di terra e detriti per sostenere le costruzioni che vi erano state edificate sopra. In realtà si pensò che si trattasse di grotte, poiché erano rimaste appena visibili le volte degli ambienti, cosicché gli affreschi presero il nome di “grottesche” ed ebbero da allora un notevole successo, fino a recenti esempi di palazzi degli anni Venti o Trenta del secolo scorso. Tra coloro che videro tra i primi queste ‘grotte’ ci furono Raffaello, che ad esse si ispirò per le logge vaticane, e Michelangelo, oltre a tanti altri artisti. Molti visitatori lasciarono la propria firma, ancora riconoscibile, come quella di Giacomo Casanova e del Marchese de Sade. Soltanto dopo i ritrovamenti degli affreschi di Pompei gli studiosi si interessarono di nuovo alle grottesche romane e nel 1772 furono ripresi gli scavi nella Domus Aurea.
La Domus Aurea ebbe comunque un ‘futuro’, poiché alcune tecniche d’avanguardia o di inusitata originalità trovarono applicazione assai diffusa come, ad esempio, il rivestimento a mosaico delle volte e non solo dei pavimenti, come in precedenza, adottato dagli architetti che edificarono le basiliche cristiane e bizantine.
Ciò che comunque non va separato dalla realizzazione di questa imponente opera, discutibile – tanto più per gli elevatissimi costi – e inutile, è il significato che essa assunse per i cittadini di Roma, ma anche di tutto l’Impero. Nerone nel corso del suo breve regno (54-68) stabilì un’intesa con gli strati più bassi della popolazione, appoggiandosi sugli umori del popolino, al quale i giochi e le sue stesse stravaganti esibizioni pseudo-artistiche non dispiacevano. Si dovette trattare di una forma singolare di avvicinamento tra l’imperatore e i suoi sudditi, «un esperimento di regno non a tutti sgradito», che aveva messo alle corde il senato e l’opposizione dei benpensanti e dei filosofi, capeggiati dai seguaci dello stoicismo, del quale Seneca era il maggiore esponente.
Questo può spiegare «il fenomeno di culto e nostalgia legittimistica che accompagnò la morte di Nerone», dando origine ad episodi di culto e di venerazione della sua memoria che contrastano con il despotismo manifestato dal principe dopo il quinquennium aureum, i primi cinque anni del suo regno trascorsi sotto la guida di Seneca e del prefetto Burro, nonostante le trame della madre Agrippina. Bisogna riconoscere che l’applicazione da parte di Nerone del principio di auctoritas, sul quale si fondava il principato, si trasformò in breve tempo nella pratica di una autorità sovrumana, quasi ‘eroica’ in senso greco, un principio di splendore sovrumano e di onnipotenza che era riuscito pienamente comprensibile ai sudditi d’Oriente e ai ceti meno qualificati del mondo occidentale.
Soltanto Giudei e Cristiani, solitamente concilianti con il potere costituito (come dicono chiaramente la Grande preghiera di S. Clemente Romano, terzo successore di Pietro, e la leggenda dell’optimus princeps Traiano in odore di cristianesimo), restituirono un realistico ritratto del despota. Anche oggi la figura di Nerone è oggetto di studio e di interesse da parte degli studiosi.
Dopo un difficile restauro, quanto rimane degli edifici della Domus aurea è stato aperto al pubblico ma ben presto nuovamente chiuso per il crollo di un soffitto, probabilmente in seguito ad una pioggia torrenziale. La riapertura prevista per l’inizio del 2007 è stata rimandata a causa di varie difficoltà; infine il 30 marzo del 2010 è crollata la volta d’ingresso di una galleria che conduceva alle terme di Traiano.
E’ auspicabile che ciò che rimane di questa straordinaria testimonianza sia messo presto al riparo dai tanti pericoli che incombono su di essa, primo fra tutti – ma non è questo il caso, speriamo – quello della dimenticanza.