Wen Jiabao viaggia in Europa per rafforzare rapporti commerciali dopo che l’immagine di Pechino è stata danneggiata dalle continue rivolte popolari, dalla crescente inflazione e dalla ferrea repressione dei diritti umani. I politici europei sono interessati a vendere i propri titoli di Stato alla Cina. Per rassicurare l’occidente Pechino libera l’artista Ai Weiwei il 22 giugno e il giornalista Hu Jia quattro giorni dopo, il 26.
Ai Weiwei, 57 anni, celebre in tutto il mondo è, tra l’altro, co-architetto dello Stadio Olimpico del 2008. Le sue opere sono alla Tate Modern Gallery, a Somerset House ed alla Lisson Gallery. Una petizione per la sua liberazione, iniziata da 20 direttori di Musei di arte, è arrivata a 140mila firme. L’artista viene arrestato il 3 aprile all’aeroporto di Pechino, mentre partiva per una sua mostra a Hong Kong. L’accusa è di “evasione fiscale”. Nel 2008 l’artista si batte per le vittime del terremoto del Sichuan dove, a causa della speculazione edilizia, muoiono 5.800 studenti. Negli anni seguenti continua a criticare aspramente il governo fino al suo arresto.
Hu Jia, 38 anni, giornalista, ambientalista, è stato arrestato più di una volta dal 2006. Nel novembre del 2007 partecipa con una webcam ad una conferenza organizzata a Bruxelles dal Parlamento europeo. Nell’intervento attacca duramente il governo cinese, sottolineando l’evidente contrasto tra la continua repressione e la fastosa organizzazione delle Olimpiadi. Poco dopo viene arrestato per aver “sovvertito l’autorità dello Stato”, riceve una condanna a tre anni e mezzo di reclusione e viene internato nel Laogai Bejing Municipal Prison. Il settimanale Time lo include tra le cento personalità più influenti del 2007 e il Parlamento europeo gli attribuisce il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, nel 2008.
Ora Hu e Ai sono liberi, ma lo sono veramente? Ambedue sono sotto controllo della polizia, non possono rilasciare interviste, né effettuare viaggi, né scrivere sui blog o sui social media. L’organizzazione internazionale Human Rights Watch dichiara, infatti, che per “gli attivisti cinesi la prigione è solo uno dei modi nei quali si può perdere la libertà”. Centinaia sono i dissidenti in prigione o soggetti a periodici arresti. Fra questi numerosi vescovi e sacerdoti cattolici perchè la libertà religiosa è ancora un sogno in Cina. P. Joseph Chen di Xuanhua è sparito nelle mani della polizia due mesi fa.
P. Zhang è stato detenuto per quattro mesi e soggetto ad abusi e percosse. Sono anche detenuti, o comunque “scomparsi”, tra gli altri, mons. Su Zhimin vescovo di Baoding, mons. Cosmas Shi Enxiang vescovo di Yixian, p. Lu Genjun vicario generale di Baoding e p. Wang Lifang di Zhengding. Negli ultimi giorni p. Joseph Sun Jigen, destinato ad essere vescovo della diocesi di Handan, nell’Hebei, è stato portato via dalla polizia.
Molti dissidenti, come Liu Xiaobo, Gao Zhisheng, Hang Donfang e altri hanno riscoperto la fede cristiana, che ha risvegliato in loro la coscienza del bene e del male, il valore assoluto della dignità umana e dato forza al loro impegno di difendere i diritti di Dio e dell’uomo. Quella forza dirompente della libertà, intesa ovviamente non come obiettivo per sè ma come mezzo per arrivare al bene comune del popolo cinese, ci ricorda la lettera di Paolo ai Galati “Cristo ci ha liberati per una vita di libertà”. La situazione in Cina è, infatti, ben diversa da quella che ci vogliono far credere i grandi media e i politici che alimentano ammirazione per la Repubblica Popolare e per il suo Pil in crescita.
Questi signori dimenticano di informarci che la capacità produttiva del paese asiatico è indirizzata ad arricchire una minoranza legata al Partito comunista, mediante le esportazioni a basso costo, spesso, frutto del lavoro forzato e del lavoro minorile dei Laogai. L’inflazione rimane alta, i prezzi aumentano, il mercato interno si restringe, cresce il divario fra i ricchi e i poveri e crescono le decine di migliaia di rivolte popolari contro la corruzione, gli espropri forzati e la repressione. A maggio si sono svolte proteste a causa dell’uccisione di un pastore mongolo da parte di un camionista cinese ed un uomo, infuriato per la demolizione della sua proprietà, si fa esplodere in un ufficio governativo a Funzhou. A giugno vi sono rivolte nel Lichuan a causa della morte di un burocrate che si è opposto a una riassegnazione di terreno, una bomba è esplosa davanti agli uffici governativi di Tianjin e violenti scontri fra e la polizia e lavoratori migranti si verificano nella città di Zengcheng.
Nel frattempo tre dissidenti cinesi, Du Daobin, Zhou Yuanzhi e Liu Xianbin, portano in tribunale negli USA la CISCO Systems per aver aiutato, tramite la vendita di tecnologia avanzata, la polizia cinese nella repressione dei diritti umani. Ipocrita il doppio ruolo della multinazionale che da una parte dichiara di sostenere la libertà d’espressione, e dall’altra aiuta un regime totalitario nella repressione della stessa libertà. Grazie alla CISCO sono stati infatti arrestati numerosi dissidenti, incluso il premio nobel Liu Xiaobo.
La liberazione di Ai Weiwei e di Hu Jia è semplicemente una delle tante operazioni d’immagine della Cina comunista, ad uso e consumo dei politici occidentali, desiderosi di aumentare il loro “business con Pechino”. Ma questi signori non si illudano. Dalla determinazione di Liu Xiaobo, di Hu Jia e dei dissidenti scaturisce quella forza della libertà che dà coraggio a tanti e fa credere, come afferma Harry Wu, che il regime comunista cadrà nel prossimo futuro. O cambia il sistema politico o il regime comunista capitolerà come 20 anni fa cadde il regime sovietico.