Ogni mostra del Meeting ha la sua storia particolare. È da qui che nascono i primi abbozzi, le ricerche, i lavori di scrittura e le ipotesi di allestimento che poi prendono la loro forma evoluta arrivando al risultato finale. Tutto questo lavoro nascosto, dietro le quinte, è l’anima di quanto si vede riflesso nei messaggi che le mostre cercano di offrire. Quando si può tenerne conto e si riesce a esserne informati, le si capisce ancora meglio.



La regola vale anche per la mostra dedicata a “San Carlo Borromeo: la casa costruita sulla roccia”. Non è nata da un freddo progetto a tavolino, ma da una catena di sorprese e di incontri che a loro volta hanno mobilitato risorse e spinto ad agire. La circostanza più esterna è quella di un importante anniversario: ci troviamo a quattrocento anni esatti di distanza dal solenne riconoscimento della santità di uno dei personaggi cruciali della storia del nostro mondo moderno. La ricorrenza, che si è fatta sentire soprattutto a Milano e nelle zone vicine, da sola, però, non sarebbe di sicuro bastata per mettere in moto gli ingranaggi che hanno dato vita alla scelta di rendere possibile a tutti un incontro con la sua figura oggi da molti dimenticata.



1610-2010: Carlo Borromeo è stato uno dei protagonisti di primo piano della potente ondata di rinnovamento del cattolicesimo europeo del Cinque e Seicento. E se si vuole capire davvero il mondo di cui siamo eredi, vi è da dire che il dialogo con le speranze e gli ideali scaturiti dalla forza di una fede incarnata nell’orizzonte della vita di tutti è assolutamente non scavalcabile: sia che si parli di politica, di economia o di arte, di musica, di scienza, di filosofia, di cultura. San Carlo è riconosciuto come uno dei grandi leaders che hanno dato impulso all’ardita impresa di rinsaldare il legame tra la coscienza cristiana e la ragione, la presenza della Chiesa e la vita intera della società, capovolgendo debolezze e arretramenti che avevano segnato il declino della cristianità medievale ma si presentavano ormai come una camicia di forza insopportabile, davanti a un risveglio che portava a dilatare il fermento di una nuova vitalità fino agli estremi confini di un universo per la prima volta spalancato in senso planetario. Tutto ciò, oggi, può sembrare epico, grandioso e persino commovente.



Ma lo splendore delle avventure di uomini vissuti quattro secoli fa non sarebbe nemmeno percepibile senza un tramite che ci rimetta in contatto diretto con esse. C’è bisogno di un ponte gettato sopra il baratro delle enormi distanze, che faccia risorgere per noi e ci renda di nuove “contemporanee” le cose successe in un’epoca che poi abbiamo dovuto lasciare alle spalle per procedere spediti in avanti.

Nel nostro caso, l’antefatto che ha fatto rinascere un fuoco di interessi intorno all’esperienza umana del grande vescovo-pastore della città di Milano (1538-1584) si lega a un desiderio maturato fra alcuni dei responsabili della Curia arcivescovile della Milano di oggi: quello di valorizzare il grande scenario del Meeting per proporre a un pubblico il più vasto possibile la provocatoria “attualità” della sfida a cui san Carlo cercò di rispondere, con tutto se stesso, diventando un modello per l’intero popolo cristiano rimasto fedele a Roma dopo le fratture dolorose dello scisma protestante.

Chiuso il Meeting dello scorso anno, da Milano è partita la proposta di pensare a una mostra su uno dei padri rifondatori della tradizione del cattolicesimo degli ultimi secoli. Già così, si può intuire il rilievo non comune dell’iniziativa. Nei mesi autunnali sono stati imbastiti i primi contatti e presto si è approdati alla decisione di cimentarsi nel lavoro della realizzazione pratica. Lo si è affidato a un comitato scientifico che ha riunito i rappresentanti dell’Ufficio per le comunicazioni sociali e di quello per i beni culturali dell’Arcidiocesi milanese, due dottori della Veneranda Biblioteca Ambrosiana e uno dei responsabili della classe di studi “borromaici” dell’Accademia che da molti anni, all’interno della Biblioteca, promuove gli studi su san Carlo, la sua eredità e la sua epoca, in collegamento con i centri di ricerca storica di un vasto contesto nazionale e ormai non più solo tale.

L’idea di fondo che abbiamo cercato di sviluppare è quella di puntare al cuore dell’esperienza di cui Carlo Borromeo è stato il centro. Non ci interessava tanto ribadire l’esaltazione dei suoi grandi meriti e sottolineare per l’ennesima volta la vastità dell’influsso esercitato con il suo culto reso universale nel mondo. Piuttosto ci premeva mettere in luce che cosa ha generato l’intensità eccezionale della sua tempra di uomo. Da quali vene segrete sono venute fuori la fecondità della sua azione instancabile e il fascino di una testimonianza capace di una presa così duratura nel tempo? Come ha fatto a fiorire il carisma di una dedizione ostinata all’ideale diventato un tutt’uno con la sua esistenza, fino al culmine di una donazione totale di sé per il bene di una umanità amata con l’amore di un padre pieno di compassione e di benevolenza?

La sala di avvio della mostra suggerisce un primo accenno di risposta. Si sosta davanti al famoso Digiuno di san Carlo di Daniele Crespi, mentre si ascoltano brani delle più antiche biografie del santo, che sono il commento migliore dell’immagine che si vede con gli occhi. Carlo sta seduto e medita il libro della Parola di Dio, che racconta i fatti e le parole dell’alleanza di Dio con l’uomo, arrivata al suo vertice con l’incarnazione e la passione di Cristo, riscatto del male del mondo che vive nell’attesa di una nostalgia e di un desiderio inappagati. Carlo penitente si nutre di povero pane, di parole di verità che assorbe nel cuore. Le lacrime gli solcano il viso, e di fronte a lui sta il segno materiale della raffigurazione del corpo di Cristo appeso al legno della croce. È davanti alla forza di un dialogo tenero e appassionato tra l’io della persona e il Tu del Dio che si fa incontro all’uomo per abbracciarlo e sostenerlo nel suo cammino, che subito si viene collocati.

Ma in questo rapporto di piena immedesimazione con la certezza di Cristo reso presenza che illumina i passi dell’esistenza Carlo non poté introdursi senza un lavoro dispiegato nella storia intera di una vita. In questo stesso cammino si è invitati a introdursi, come si trattasse di un paragone tra la sua vicenda fuori dall’ordinario e la nostra, pur semplice e modesta, realtà attuale. Se il destino di san Carlo ha preso una piega imprevedibile dentro le circostanze fissate dal suo ruolo di alto principe della Chiesa, le ragioni, il prezzo e il frutto sorprendente che ne sono derivati diventano una scommessa radicale che ancora interpella la nostra coscienza di uomini moderni.

Procedendo nelle varie sezioni della mostra, ci si confronta con alcune delle tappe più significative che hanno fissato, per san Carlo, l’itinerario di una progressiva risalita fino al centro dell’avvenimento cristiano nella sua realtà più semplice, netta e decisiva. Si parte dal soggiorno romano, dalla conversione giovanile al servizio della Chiesa come vescovo, con gli incontri determinanti che accesero in lui un nuovo coraggio e gli indicarono la strada da percorrere, fin dall’inizio unendo lo slancio della pietà più fervida a una cura appassionata del lavoro dell’intelligenza con cui la fede diventa cultura e proposta per tutti. Poi viene il ritorno a Milano e l’inizio della febbrile consacrazione alla missione di pastore per la rigenerazione della vita della Chiesa nel mondo, che i riformatori come san Carlo volevano rendere una casa ospitale e segno attraente della presenza di Dio in mezzo agli uomini.

Predicazione, educazione alla fede, riforma del clero, liturgia, sacramenti, proposta del “vivere cristiano” come regola accessibile a tutti, anche nello spazio della famiglia e del lavoro quotidiano dei laici; realismo di una sapienza capace di investire tutti gli aspetti della realtà e di segnare l’inizio di un nuovo incontro tra la religione e il mondo profano. Ci furono consensi, adesioni, entusiasmi. Ma anche resistenze, contestazioni, polemiche, un attentato a colpi di arma di fuoco… Successi e sacrifici intrecciati uno dopo l’altro, fino al culmine drammatico della peste violenta che colpì la città nel 1576 e fece del vescovo Carlo il punto di riferimento per tutti, lo scudo di protezione sotto il quale raccogliersi per ristabilire una nuova amicizia tra il popolo e la legge troppo trascurata di Dio. Anche da qui venne lo scavo in una maturità sempre più acuta, sempre più coinvolgente. Dove alla fine su tutto trionfa, come roccia sicura a cui appoggiarsi per costruire una vita proiettata verso il suo bene più autentico, l’incandescente carità dell’amore di un uomo che risponde a una chiamata e cambia se stesso. Risponde con la sua fragile libertà allo spettacolo dell’amore “sconfinato” e totalmente gratuito di Dio, che si espande dalla croce e dalle piaghe di Cristo come dono che dà senso a ogni ricerca e ad ogni dolore dell’uomo mendicante di tutto.

Alla fine del percorso, quello che all’inizio era ancora implicito diventa chiarezza pienamente manifestata. Si arriva al Procaccini di San Carlo in preghiera davanti al Cristo morto di Brera. Si ascoltano frammenti delle ultime prediche recitate dal santo nella Quaresima del 1584. Si assiste all’evento di una fede che si fa carne e diventa motore trascinante di tutta la coscienza dell’io, attraverso l’imitazione di Cristo rimesso al centro della vita concreta. Qui pensiamo di esporre le reliquie dell’anello episcopale, del calice e del bastone pastorale di san Carlo. Sono i segni eloquenti di un destino da cui si passa al grazie riconoscente del San Carlo in gloria, che è il punto di arrivo. Ma può essere anche l’inizio di un nuovo tratto di cammino.

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