Ricordare oggi Alcide De Gasperi, a 57 anni dalla morte, non è atto di nostalgia. Vista la crisi attuale,della politica prima che dell’economia, direi che è un atto d’amore verso la nostra Italia, ed un annuncio di speranza per le giovani generazioni. Memoria dunque come diritto e come dovere.
In pochi, c’è da augurarsi, non sarebbero d’accordo che De Gasperi è l’uomo politico più importante della nostra storia, quello che ha guidato l’Italia alla democrazia attraverso la scelta atlantica. Il padre, in poche parole, della nostra storia repubblicana. Un ruolo che, forse, andrebbe studiato più da vicino, almeno per comprendere il valore di una scelta che, dopo il grande dramma della lotta al nazi-fascismo, che per noi significò anche “guerra civile”, e subito dopo la grande fatica della ricostruzione, rappresentò l’avvento ad una nuova stagione di libertà e di progresso.
Dal dicembre 1945 dunque per la prima volta un esponente del mondo cattolico assumeva il ruolo di guida delle sorti del nostro Paese, un esponente di un partito, la Dc, che avrebbe rappresentato il perno della vita politica italiana sino al 1994. La storia migliore della Dc, ben lontana dai guai di Tangentopoli.
De Gasperi, in un sol colpo, liberava allora il mondo cattolico da una certa connivenza col fascismo che aveva raggiunto, in alcuni ambienti, una vera forma di commistione ed offriva al contempo ai ceti medi una prospettiva concreta di speranza sociale, di contro alle sinistre unite nel Fronte Popolare (Pci e Psi), inneggianti al modello sovietico. Sono i passaggi decisivi di una strategia che portò l’Italia sul fronte occidentale, e liberatori rispetto ad ipotesi nostalgiche che potevano far convergere questi ceti popolari verso la destra monarchica o neofascista.
Il suo capolavoro fu la vittoria alle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Elezioni che portarono la Dc alla soglia del 50 percento di consensi e alla maggioranza assoluta in Parlamento, ma che De Gasperi non sfruttò in termini di autosufficienza, preferendo invece la logica di coalizione, cioè la democrazia della partecipazione, rispetto alla più diffusa pratica delle minoranze che si fanno maggioranze con leggi elettorali ad hoc, quasi fiere di governare rappresentando però solo delle maggioranze relative. Propose quella che fu definita dalla sinistra, in modo scorretto, “legge truffa” nel 1953, una legge che avrebbe consentito alla coalizione che prendeva comunque la maggioranza assoluta dei consensi (non relativa, com’è oggi, con la legge Calderoli n. 270 del 2005) di ottenere un premio di maggioranza, per garantire la governabilità.
Proprio in relazione a questi riscontri, va ascritto a merito di De Gasperi l’estromissione, nel maggio 1947, delle sinistre dall’esecutivo, cioè dai governi di unità antifascista. Con partiti, in altre parole, filo-sovietici, cioè non democratici, secondo la nostra concezione liberale. De Gasperi così poneva due discriminanti, sul piano politico: l’antifascismo e l’anticomunismo.In una lettera a don Sturzo spiegava come il Pci ed il Psi speravano, allora, “di conquistare una dittatura di fatto attraverso le forme democratiche”. Si trattava di preoccupazioni probabilmente esagerate, ma non del tutto infondate, come ha mostrato la storiografia più recente.
La Dc come “partito di centro che guarda a sinistra”? E’ una battuta che ha fatto storia. Pochi sanno che la frase non fu di De Gasperi, ma di un giovanissimo Giulio Andreotti (me lo ricordò lui stesso una decina di anni fa), in un articolo sul Messaggero del 1946, affermazione ripresa più avanti dallo stesso De Gasperi in una intervista sempre sul Messaggero del 17 aprile 1948, cioè il giorno prima delle elezioni politiche più drammatiche della storia repubblicana. In un clima di fortissima contrapposizione tra Dc e Pci “guardare a sinistra” significava solo guardare agli interessi popolari della società italiana senza essere di sinistra.
Per lui fu chiaro, allora, che il valore di una scelta politica dipendeva dalla qualità della politica estera, non viceversa. Tant’è che pensò da subito, assieme ad Adenauer e a Schuman, alla nuova Europa la cui unità avrebbe dovuto porre fine a 500 anni di guerre continentali: ecco allora il primo passo il 18 aprile 1951, cioè la Ceca, un trattato economico (sul carbone e l’acciaio) che gettava le basi della futura Europa politica, di un’idea di Europa politica che ai giorni nostri è ancora un piccolo sogno, anche se molti passi in avanti sono stati fatti (basti pensare che più della metà delle leggi nazionali non sono altro che ratifiche di direttive dell’Ue).
Non ci può essere politica interna senza, cioè, uno sguardo più ampio: De Gasperi cioè come precursore del “glocalismo” dibattuto ai nostri giorni (pensa globale, agisci locale). Centralità, dunque, della politica estera rispetto alla politica interna, il contrario del rischio della politica attuale. Allora questa apertura era scelta obbligata: l’Italia usciva sconfitta da una guerra dolorosissima, e si ritrovava da subito a condividere il confine orientale con modelli comunisti, per cui era essenziale riacquisire un nuovo credito internazionale e gli aiuti necessari alla ricostruzione e alla ripresa. Il legame con gli Usa fu, a questi fini, centrale, soprattutto per il nascente clima da “guerra fredda”.
Se anche nella Dc erano forti le tendenze neutraliste (chi ricorda più gli scontri con Dossetti, dimessosi da tutto nel 1951, e con gli altri “professorini”, cioè La Pira, Fanfani, Moro e Lazzati?), la determinazione di De Gasperi comportò che l’Italia aderì al fronte occidentale, con l’adesione alla Nato, nonostante il fortissimo fuoco di sbarramento delle sinistre. Ma ricordiamo anche gli accordi con l’Austria sulla questione dell’Alto Adige (accordo De Gasperi-Gruber del 5 settembre 1946), che evitarono che la regione assumesse caratteri di tipo basco o corso. Il suo sogno che ancora oggi non ha trovato positiva risposta fu la Comunità europea di difesa in alternativa/integrazione alla Nato (la prima idea è del maggio 1950, su ispirazione di Altiero Spinelli), primo nucleo di una unificazione politica. Un progetto fallito per il voto contrario dell’assemblea nazionale francese (30 agosto 1954).
Ma De Gasperi è giusto che venga ricordato oggi, a 57 anni dalla morte, non solo per i suoi meriti politici. E’ giusto ricordarlo, anzitutto, perché incarnò, potremmo dire, la cristiana virtù dell’etica politica. Un chiaro punto di riferimento anche per chi oggi intende dedicarsi al bene comune con cristiana laicità.