Chissà cosa avrebbe detto Amleto, principe di Danimarca, se invece del cranio nudo di Yorick avesse potuto interrogare l’enigmatico e tormentato Cézanne. Avrebbe potuto forse fare più strada nel cammino interiore della certezza, quella che ci fa afferrare la realtà e dà solidità alla nostra esistenza; un assillo destinato a rimanere drammaticamente non risolto, per il principe di Danimarca. Del genio dell’impressionismo, e del personaggio shakespeariano parlano oggi al Meeting di Rimini, insieme a Davide Rondoni, Beatrice Buscaroli, storica dell’arte, e Piero Boitani, professore di letterature comparate nell’Università La Sapienza di Roma. A unire due figure apparentemente estranee, tanto da essere una immaginaria, l’altra reale come ancora lo sono le sue opere, la certezza e il dubbio, inestricabilmente connessi nella tentativo di dare corpo coi pennelli al fascino del reale, in una perenne, sia pure tormentata, come in Cézanne, e di districare i “fili” indecifrabili che governano le vicende di una corte europea, scena del dramma che l’uomo – Amleto – ha vissuto in ogni tempo.
«Il nesso, secondo me – dice a ilsussidiario.net Beatrice Buscaroli -, è questo dubbio nella certezza. È l’interpretazione della realtà che fa problema, in Amleto e in Cézanne. C’è una ricerca continua della realtà, e quindi della definizione di essa, e questa avviene anche attraverso il dubbio. Con esiti assai differenti». Il dubbio sembra stare dalla parte di Amleto, e la realtà dalla parte di Cézanne. Ma qual è l’itinerario della «realtà» in Cézanne? «Il dubbio sul valore della sua opera lo tormenta, fino alla morte, come un tarlo positivo. Molto di questo travaglio appare nelle lettere, che ci danno uno spaccato profondo della sua personalità dal tempo della gioventù fino ai suoi ultimi giorni. Esso culmina nella ricerca di una solitudine esasperata, che non può più essere confusa con la personalità stramba di un eccentrico, un folle. Era una condizione invece della sua ricerca. Nel quotidiano era un irregolare: non andò al funerale della madre perché stava lavorando. Aveva eliminato ogni rapporto anche umano che non fosse legato all’esperienza della pittura».
“Sotto” il pennello di Cézanne, spiega Buscaroli, c’è la durezza di un rapporto inesorabile nei confronti del destino: «l’idea di un compito da portare a termine che va al di là della pittura, un dovere che a lui si presenta ogni giorno sotto l’aspetto della montagna di saint Victoire. C’è in Cézanne il senso di un compito mistico da assolvere, per concludere una missione che gli è stata affidata, resa presente dal dispiegarsi delle cose. In questo c’è un fondo profondamente religioso, e lo si vede nel lavoro: per lui il lavoro è qualcosa da svolgere con l’intensità di chi deve “render conto”».
Di fronte a Cézanne sta il principe del dubbio. «Amleto non è solo dubbioso, spiega Piero Boitani, non solo investe la realtà, dalla trama delle vicende umane al destino degli uomini, con dubbi di ogni sorta; questo determina in lui una paralisi totale, perché nella prima parte del dramma Amleto non si muove, non agisce, e se lo rimprovera continuamente lui stesso. Qualcosa dopo cambia, è vero: nella seconda parte del dramma, quando torna in Danimarca dall’Inghilterra da dove è stato spedito per essere ammazzato – lui non lo sa, ma lo saprà -, è un personaggio cambiato, sembra avere meno dubbi. Non risolve i suoi dubbi esistenziali, però agisce, uccidendo lo zio nel duello fatale».
Ma il suo dubbio è una tappa nel processo conoscitivo della realtà, o è una “malattia” della ragione, come nella mentalità già tipicamente moderna? «La genialità di Shakespeare – risponde Boitani – è di averci dato un archetipo antico e moderno insieme. Perché da un lato Amleto è un personaggio come Oreste (nell’Orestea, trilogia di Eschilo, ndr), un figlio spodestato che dovrebbe compiere la vendetta, e in questo è antichissimo; ma è anche moderno, perché conosce la logica, la filosofia moderna, come è evidente dal modo in cui ragiona. Non solo: apre ai problemi che saranno tipici del pensare otto-novecentesco. Tutto poi si complica se pensiamo che c’è l’Amleto che pensa e agisce nel dramma Amleto».
Si spieghi, professore. È la distinzione che esprime l’«eccesso» di Amleto di cui ha parlato Eliot, l’«emozione inesprimibile» che eccede i fatti contenuti nel testo?
«Sì. egli non riesce mai a risolvere definitivamente alcun problema, non riuscendo a provare – appunto – al di là di ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dello zio. Ha soltanto le parole del fantasma del padre, ma lui stesso ammette che il fantasma potrebbe dire il falso, essere un demonio, mandato per ingannarlo. Nella cappella lo zio confessa il delitto, e Amleto è nascosto proprio là, ma non sente, e la prova non la ottiene! Oltre i dubbi dell’Amleto protagonista, la storia messa in scena è una cosa complessa di cui non si riescono a raccogliere con precisione tutti i fili, proprio perché Shakespeare li ha lasciati sospesi e per questo Amleto è il più complesso dei suoi drammi. I conti, insomma, non tornano. Il viaggio di Amleto in Inghilterra non si sa come avvenga e cosa accada. Siamo sicuri che Amleto ami Ofelia? Alcune sue parole non sono esattamente quelle di un innamorato. Non si sa poi se la madre di Amleto, la moglie del vecchio re, è stata complice dell’assassino oppure no. Nella trama si apre una strada nuova ad ogni angolo».
La filosofia di Amleto non approda dunque alla realtà? «attenzione, perché il suo pensare – prosegue Boitani – non è mai avulso dal contatto con la realtà. In Amleto la realtà c’è come sorgente della domanda, perché egli si interroga su grandi questioni fondo come il destino, la morte, la vita… Le domande che Amleto si pone sono quelle di ognuno di noi. Ma per Amleto l’esistenza, per usare il titolo del Meeting, non sarà mai una immensa certezza – conclude Boitani -. Prima di morire Amleto vede una specie di luce in fondo al tunnel, ne parla con Orazio, però non va oltre. Non c’è un approdo. L’amico Orazio, quando Amleto è appena spirato, dice “e adesso il volo degli angeli ti porti cantando al tuo riposo”… ma è Orazio che parla, non Amleto».
La ricerca dell’approdo mancato da Amleto fa invece di Cézanne un uomo profondamente religioso, spiega Beatrice Buscaroli. «Cézanne vuole tornare alla realtà. Raccoglie l’eredità degli impressionisti, in particolare di Pizzarro, però con l’idea di risolidificare la forma, di riportarla ad un sua coerenza antica e molto più presente, nel senso che le derive di legame e i vapori dell’ultimo impressionismo sono il punto da cui egli riparte per fare il contrario. Un nuovo “ricostruttore” dell’universo. Egli insegue la certezza della realtà, e quello che affascina in lui è il timore che questa certezza sfugga ma non per questo egli rinuncia al suo lavoro. il suo è l’animo di un credente sui generis, con una sua religiosità personale, quella di chi è convinto che nelle cose ci sono le vestigia di Dio. Ecco perché nelle sue creazioni si avverte una divinità sempre presente. In un modo che ricorda un po’ Michelangelo, egli vede una grandezza inarrivabile di fronte alla quale l’uomo non può che inchinarsi e ringraziare».