Il grande Eliot diceva di Newman: “Conosco pochi scrittori religiosi che siano più rilevanti per i nostri tempi”. Che cosa rende Newman interessante per i nostri tempi? Può sembrare paradossale, ma la risposta si trova nella coscienza con cui Newman si è sentito chiamato da Dio per un compito preciso che non era dato ad altri, per una missione.
Così lo spiegava Giovanni Paolo II: “Newman nacque in un momento preciso, il 21 febbraio 1801, in un luogo preciso, Londra, e in una famiglia precisa, primogenito di John Newman e di Jemina Fourdrinier. Tuttavia la missione particolare che Dio gli affidò garantisce che John Henry Newman appartiene ad ogni epoca, luogo e persona”.
Non esistono infatti frontiere di tempo o di spazio per un uomo che vive la missione affidatagli in modo unico e irripetibile da Dio. L’uomo che dentro le sue concrete circostanze storiche – famiglia, lingua, cultura, mentalità – risponde alla chiamata di Dio acquista un valore universale, in primo luogo per se stesso e quindi anche per gli altri.
Il permanere dell’interesse per la figura di Newman non dipende soltanto dalla sua innegabile genialità, ma dalla sua fedeltà alla missione ricevuta. È questa la dinamica dell’esperienza cristiana, che non ha bisogno di prescindere dai suoi connotati particolari per raggiungere il mondo intero e tutte le epoche storiche.
Newman dimostra la sua rilevanza proprio nel contesto di un Meeting dedicato alla certezza: “E l’esistenza diventa un immensa certezza”. Se uno scrittore si è interrogato sulla natura della certezza, sulle sue condizioni e sull’influsso che essa ha nella vita quotidiana, è proprio Newman. Egli racconta come per tutta la sua vita cercò di comprendere questo problema decisivo per la ragione e per la fede, e, giunto a 70 anni, pubblicò quella che è la sua opera più importante: la Grammatica dell’Assenso.
Potremmo dire che durante tutta la vita si era paragonato con il tema del Meeting e in quel libro raccoglieva il frutto del suo lavoro. Giovanni Paolo II lo sottolinea efficamente: “Newman nacque in un’epoca travagliata non solo politicamente e militarmente, ma anche spiritualmente. Le vecchie certezze vacillavano e i credenti si trovavano di fronte alla minaccia del razionalismo da una parte e del fideismo dall’altra […]. In quel mondo Newman giunse veramente a una sintesi eccezionale fra fede e ragione”. Infatti, la sua lotta per chiarire la natura della certezza non aveva semplicemente uno scopo accademico. Egli accettó la fatica di pensare questi problemi perché essi sono decisivi per la vita dell’uomo.
Il Meeting ci sfida a verificare che la vita si smarrisce se non trova certezze su cui costruire. Newman lo aveva visto con chiarezza: “La certezza è qualcosa di essenziale per il cristiano; e se egli dovrà perseverare, pure la sua certezza dovrà avere un principio di persistenza”. Quale è la strada che Newman ha percorso per raggiungere la certezza?
La mostra “Cor ad cor loquitur. La certezza di Newman: la coscienza e la realtà” intende introdurci a questo percorso rispondendo alla provocazione di papa Benedetto XVI che ha invitato a guardare Newman come a un esempio per l’uomo moderno e a imparare dalle sue tre conversioni. Queste sono di fatto tre conversioni alla realtà.
La prima conversione porta alla scoperta che Dio e l’anima sono reali e che la presenza di Dio può essere percepita con la stessa concretezza con cui si percepiscono le realtà esterne, come gli oggetti della vita quotidiana o il volto degli amici. La seconda conversione è il momento in cui Newman comprende che la fede non può esaurirsi in un dialogo interiore con Dio, ma deve diventare intelligenza della realtà. La terza conversione è la conversione al cattolicesimo.
La mostra si propone di ripercorrere questo cammino di conversione, mettendo in evidenza come la coscienza sia stata la forza che ha guidato Newman nel suo viaggio verso la certezza e come un tale percorso di ricerca della verità lo abbia reso anche un grande educatore e un amante della bellezza.