«È un libro che rappresenta una straordinaria fenomenologia dell’esistenza umana»: oggi, a chiusura del Meeting di Rimini, Eugenio Borgna, psichiatra e scrittore, presenta l’ultimo libro di don Luigi Giussani, Ciò che abbiamo di più caro, una raccolta delle équipes degli anni 1988-1989. Il genio di Giussani? «Egli ha compreso – dice Borgna – che solo un uomo che si lascia totalmente investire da Cristo può portare il cielo dentro la terra, incarnando nella vita di ogni giorno la grande rinascita interiore che il Signore ci ha donato».



Che impressione ha tratto dalla lettura di questo libro?

È un libro che rappresenta una straordinaria fenomenologia dell’esistenza umana. Vi sono le certezze cristiane forti, aperte al futuro, e le certezze fragili, inquiete, intermittenti sulle quali si fondano invece le esistenze del giorno d’oggi, così incapaci di cogliere il senso della vita. Venti anni sono passati dagli incontri di Giussani con i «suoi» giovani, ma i problemi che toccano il cuore degli uomini sono ancora gli stessi.



Ciò che abbiamo di più caro è Cristo stesso, risponde lo starets Giovanni all’imperatore. Esiste però il rischio di dare un assenso alla proposta cristiana senza che questo tocchi l’affettività: cioè senza sentirsi realmente provocati da essa.

Per Giussani il cristianesimo non può essere teorico, astratto, individuale. Occorre vivere l’evento cristiano con tutta la passione e l’emozione umane. Solo un uomo che si lascia totalmente investire da Cristo può portare il cielo dentro la terra, incarnando nella vita di ogni giorno la grande rinascita interiore che il Signore ci ha donato.



Cosa pensa del titolo del Meeting?

È sulla risposta dello starets Giovanni all’imperatore che si fonda l’immensa certezza che si trova nel titolo di questo Meeting. Vedo il libro di Giussani e il grande tema della certezza come due momenti di una stessa riflessione, che ci porta a dire che solo quando il cristianesimo diventa esperienza incarnata ci dona il Mistero e ci fa vivere tutta la pienezza dell’istante. In questo modo non solo rispondiamo formalmente alla domanda dell’imperatore, ma il cuore che è in noi è fermamente convinto che sia questa la strada.

Una strada non facile, soprattutto per i giovani, e non solo negli anni ai quali risalgono le conversazioni con don Giussani presentate nel libro.

Certo. Per i giovani seguire questo sentiero implica sacrificio, distacco dal fascino mondano che ci porta a riconoscere il significato della vita nell’indifferenza, nella distrazione, nella ricchezza, cedendo alla sopraffazione della noncuranza.

Ad un certo punto don Giussani usa una metafora efficace, quella dell’«anoressia dell’umano». Molte altre ce ne sono nel volume. Cosa pensa del linguaggio di don Giussani?

La sua è una parola estremamente ricca: ricca di quelle immagini e di quelle metafore senza le quali il linguaggio muore. L’alleanza inimitabile in lui tra linguaggio poetico e linguaggio teologico trasforma una semplice trasmissione di conoscenze razionali in una parola che parla al cuore. E questo corrisponde alla nostra natura: soltanto quando le ragioni pascaliane del cuore sanno vivere in noi alleate a quella che è la più arida espressività razionale, possiamo arrivare sulla soglia del Mistero. Il risultato è una comprensione più piena della vita.

«Siamo cristiani con un fiato corto, protagonisti di una ragione fragile»…

Con questa immagine Giussani coglie in modo profondo uno degli aspetti psicologici – e non solo quindi teologici – della dimensione concreta in cui da sempre ciascuno di noi vive il rischio di questa spaccatura che oggi si è fatta sempre più intensa, profonda, pericolosa. Oggi l’avanzata travolgente delle tecnologie, apparentemente avanzate, ma regressive dal punto di vista spirituale, impedisce che la vita affettiva, emozionale, si riverberi nella coscienza razionale che uno ha di se stesso e della realtà che vive. Questa scissione, direi questa schizofrenia, rappresenta una delle grandi ferite aperte dell’attuale condizione umana. Viene da qui la perdita di coesione tra parte affettiva, pulsionale dell’io e parte raziocinante.

Che posto ha il fatto, l’evento, la storia nella visione di Giussani?

Giussani dice espressamente nel libro che il cristianesimo non è se non l’adorazione dell’istante. Questo mi ha molto colpito: senza questo concetto, solo apparentemente così astratto, non si capirebbe il cristianesimo. Ogni istante, ogni più piccola circostanza della vita è una sfida perché ci rinnoviamo continuamente, perché rimaniamo sempre aperti al significato, al rimando all’Altro che ogni singola circostanza lascia intravedere nel profondo. «Dentro» ogni avvenimento, e non fuori di esso, siamo chiamati a realizzare fino in fondo la nostra vocazione.

Veniamo all’amicizia: «il Fatto, il grande fatto, la drammatica presenza di Cristo è tale perché emerge in una compagnia». Cosa l’ha colpita del modo in cui se ne parla in questo libro?

Essa è un grande metodo educativo. Pur essendo diverse le vie che ci possono condurre alla fede, all’espressione della nostra fede, alla nostra speranza, a Dio, la via che propone don Giussani, quella della compagnia, è una via dove l’amicizia diventa il collante essenziale per potersi trasformare insieme agli altri, per fare in modo che ciascuno di noi formi gli altri. È un elemento fondamentale della vita, un gioco di specchi in cui ciascuno si riflette nello specchio delle persone amiche con cui ci si incontra.

Qual è secondo lei l’originalità di questo metodo educativo?

Sta nel fatto che riporta l’educazione nel cuore di ciascuno di noi. Se le nostre relazioni – tra i giovani, come nelle famiglie e nelle scuole – riuscissero a rendere palpitante quello che dice Giussani sul senso profondo dello stare insieme, cambieremmo tutti e si spegnerebbero anche gli istinti insostenibili all’incomprensione, al dolore, e anche alla violenza che riempiono le pieghe della nostra esistenza.

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