Ne ha parlato perfino Zygmunt Bauman, forse l’intellettuale più ascoltato in questo momento. Di fronte ai disordini scoppiati in Inghilterra nelle scorse settimane, Baumann ha usato l’espressione “assalto alle cattedrali”, intendendo con questo termine le cattedrali del consumismo: grandi magazzini, negozi di lusso, centri commerciali.



Ma le nuove cattedrali non sono soltanto quelle del consumismo, perché il mondo è più grande del consumismo e anche la sua rovina – se ci deve essere – non è e non sarà solo quella del consumismo. Sarà più grandiosa, più bella, più gloriosa.

Con Cattedrali ho cercato di scattare un’istantanea del mondo così come ci si presenta in questi anni nei quali le sue apparenze, alle quali siamo abituati, vengono sgretolate internamente da un fenomeno destinato a mutare radicalmente il suo assetto generale. Possiamo chiamarlo “globalizzazione”, sempre che accettiamo di veder cambiare radicalmente il senso di questa parola ogni sei mesi, un anno…



Ho scelto alcune città: Betlemme, Londra, Il Cairo, Barcellona, Gerusalemme, Pechino, New York, Parigi e Milano. Tutte città fondamentali nel mondo di oggi. A ciascuna di esse ho dedicato un capitolo del libro, scegliendo, come epicentro, una “cattedrale”, un luogo cioè nel quale si condensa il racconto stesso della città, la sua vita tra passato e futuro. Ecco dunque gli “attori” del mio libro, le mie cattedrali: la Basilica della Natività, i magazzini Harrod’s, la Piramide di Cheope, la Sagrada Família, il Muro del Pianto, la Città Proibita, il Grand Central Terminal, Il Forum des Halles, il Duomo di Milano.



Di queste, solo tre sono chiese vere e proprie, e delle tre una sola – il Duomo di Milano – viene trattato come chiesa. La Basilica di Betlemme viene presentata infatti come l’emblema della tragedia, della madre di tutte le tragedie di oggi: il rifiuto di Dio da parte della storia, il rigetto della salvezza da parte dei suoi stessi destinatari.

Viceversa, la Sagrada Família figura nel libro come il più straordinario dei cantieri edili, dove in mezzo alle maestranze si aggira una folla di turisti religiosi, gli stessi che s’incontrano a Loreto o a Fatima, con la differenza che in questo luogo non è mai apparsa Maria, né si sono mai verificate guarigioni miracolose. E se il miracolo fosse proprio lei, la Sagrada?

Ogni “cattedrale” racconta l’identità del luogo in cui sorge. Per identità io non intendo l’eredità del passato, ma solo ciò che, di questa eredità, riesce ad agire nel presente in modo significativo. Le città globalizzate sembrano destinate a somigliarsi tutte: tutte attraversate da una marea multietnica dove i derelitti sono sempre più numerosi, tutte rese scintillanti dai nuovi simboli del potere globale (le opere delle grandi archistar).

Ma se le cose stessero solo così, potremmo dare il nome di cattedrale solo ai monumenti, sempre più spettacolari, dedicati al Consumo. Per fortuna, continua a esistere a Londra qualcosa che appartiene solo a Londra, e lo stesso vale per Parigi, New York o Pechino. Non è solo la diversità del passato e delle vicende storiche che hanno portato la città ad assumere questa particolare forma, ma un modo particolare, unico, inconfondibile di raccontare la storia del mondo oggi.

Di città in città, di cattedrale in cattedrale, è lo stesso mondo quello che incontriamo, sono gli stessi problemi globali, ma la voce che racconta questo mondo cambia, cambia la chiave di lettura. È la voce della vita quotidiana, che filtra gli eventi della storia e della grande politica macinandoli dentro i problemi di sempre: lavorare, mettere su casa, crescere i figli, aiutarli a vivere una vita dignitosa, far da mangiare, fare la spesa, affrontare le malattie, partorire.

Ciò che noi chiamiamo Parigi, Londra o Il Cairo non sono solo i prodotti della forza e del potere: sono soprattutto le forme imprevedibili, uniche e sorprendenti che la vita dell’uomo alle prese con questi problemi ha assunto nei vari luoghi e nelle varie circostanze della storia. Questa attività, come scrivo nel libro, costituisce almeno il 99 per cento della creatività umana, anche se di questa creatività non si parla mai.

Oggi tutto questo si trova sul ciglio di un nuovo precipizio. Noi non sappiamo (nemmeno Bauman lo sa) se a furia di far finta di niente precipiteremo in esso oppure se, più realisti e avveduti, noi vi scenderemo lentamente, come fa Dante seguendo “il muro della terra”, nella fiduciosa certezza che, al termine del viaggio, troveremo un nuovo, imprevedibile (ma sperabile) bene.