Le vacanze sono finite e la breve illusione di potersi liberare degli incubi del mondo in cui viviamo quotidianamente rischia di svanire rapidamente. Chi ha passato qualche giorno sereno, immerso nella fresca acqua del mare o procedendo lentamente nei boschi della montagna, avverte, appena tornato a casa, una sorta di malessere improvviso come se qualcuno gli avesse sferrato un pugno allo stomaco all’atto di risvegliarsi dopo la breve pausa estiva. Malessere, confusione, depressione. Si sente parlare così tanto di depressione economica (per lo più oggi chiamata “contrazione”) che ciascuno di noi pensa che in fondo essere depressi personalmente è un modo doloroso di partecipare alle vicende del nostro mondo. Solo che nessuno riesce a capire chi è che ha sferrato il pugno allo stomaco e perché lo ha fatto senza alcun apparente motivo che giustifichi un gesto così violento.
Passare dalle vacanze, sia pure brevi, alla depressione economica e a quella psichica è sempre una forma di transizione. Ma la depressione è certamente accresciuta dalla circostanza, per certi versi nuova, che nessuno riesce a capire bene cosa stia succedendo. Un giorno la televisione comunica che le borse hanno toccato il fondo negativo e che sono stati “bruciati” miliardi di euro o dollari. Qualche giorno dopo le borse risalgono e le quotazioni in titoli, come quelli bancari, rimontano improvvisamente fino a creare brevi momenti di euforia finanziaria. Siccome mi pongo sempre dal punto di vista del lettore o dell’utente dei grandi notiziari di informazione, mi chiedo cosa riesca a capire da questi strani messaggi sulle borse o dai titoli dei giornali maggiormente diffusi un “povero cristo” che si barcamena col suo bilancio familiare per non cercare di apparire ai propri figli come l’ultimo dei poveracci.
Provo la sensazione che in questo modo di rappresentare le vicende dell’economia mondiale si nasconda un grande imbroglio e che la famosa Verità di cui tutti parlano sia ben lontana dall’essere rappresentata con il linguaggio della borsa e del debito pubblico. Quando si dice infatti che sono stati bruciati miliardi, un ingenuo cittadino pensa che qualche incauto piromane in una piazza di Bruxelles abbia bruciato davvero una qualche massa piccola o grande di moneta cartacea. Quasi nessuno pensa che questi miliardi bruciati sono in realtà passati dalle tasche di qualche cittadino ingenuo a quelle di un esperto speculatore che fa delle oscillazioni di borsa lo strumento per ricavare profitti senza impegnarsi nella produzione di merci.
Nel modo di presentare le notizie sull’andamento dell’economia scompare sempre più vistosamente l’indicazione di chi vince e chi perde in questo massacrante gioco della speculazione finanziaria. I cittadini di ogni paese europeo vengono a gran voce spinti a combattere con tutte le forze contro la Crisi, ma nessuno riesce a capire cos’è la Crisi e se dentro questa magica parola si nascondano conflitti tra poteri e interessi che rischiano di essere appiattiti sull’oggettività delle leggi economiche che penalizzano chiunque si indebita oltre le proprie capacità. A questa visione deformata, che impedisce ogni giudizio critico e ogni rappresentazione del conflitto sociale, concorrono, non so quanto consapevolmente, le “Chiacchiere” che sui giornali e sui media tendono a dare una qualche configurazione agli eventi economici che si succedono sulla scena mediatica.
Insisto su questo carattere di “chiacchiera universale” che assume la discussione pubblica apparentemente orientata a far capire al lettore e ai cittadini ciò che accade realmente nel mondo delle cose e dei fatti. La “chiacchiera filosofica”, da questo punto di vista, ha toccato l’apice dell’incomunicabilità e cioè dell’impossibilità di tradurre in visioni concrete le discussioni tra gli illustri rappresentanti del nostro pensiero filosofico. Mi perdonino i lettori se li trascino su un terreno che può apparire lontanissimo dalle loro pene quotidiane, ma cercare di capire lo “spirito del tempo” è una delle cose che aiutano a comprendere cosa succede nella realtà. Così, ad esempio, tutti i grandi giornali e le riviste stanno proponendo ai lettori più colti il conflitto “teorico” fra i neorealisti e gli ermeneutici.
E cerco di spiegarmi. Sulle pagine di Repubblica, come già su MicroMega, che ormai è l’abbecedario filosofico degli italiani colti, Maurizio Ferraris richiama alla necessità di ritrovare il contatto immediato con la Realtà e con la Verità che si danno oggettivamente nei “fatti” contro la posizione di Gianni Vattimo che continua ad affermare impudicamente che il mondo reale esiste solo nelle interpretazioni che noi riusciamo a fornirne. Ferraris obietta a Vattimo che quando si trova di fronte a un piatto di bucatini alla norma, la realtà non lascia spazio ad alcuna interpretazione giacché tutto ciò che viene mobilitato dal mangiare con gusto non appartiene alla sfera dell’immaginario ma a quella del mondo dei fatti. Vattimo ribatte che a lui piacciono tutte le leccornie alimentari ma che esse si presentano agli esseri umani sempre all’interno di una cultura che ha definito le condizioni della degustazione.
Il dibattito animerà l’intero festival di Modena sulla filosofia che, come è noto, attirerà centinaia di migliaia di italiani e stranieri attorno al tema della riscoperta dell’assoluta oggettività dei “fatti” e quindi della Verità e della Realtà, dopo anni di viaggi immaginari nel mondo virtuale. Scrive Roberto Esposito, introducendo il tema su Repubblica, che è tempo di smetterla con l’idea che l’uomo fa la Storia e propone di aderire finalmente ad una schietta visione darwiniana in cui tutto si spiega con la Natura che si evolve e si trasforma secondo i suoi principi immanenti. Così riassunto potrebbe apparire un dibattito di lana caprina ma, se si sta un po’ attenti al significato delle formule adoperate, ci si rende conto che dietro la contrapposizione tra Storia prodotta dagli uomini ed Evoluzione naturale, si nasconde qualcosa di più profondo che riguarda anche la vicenda delle borse e della speculazione finanziaria.
Tendo un poco a forzare la mano ai miei “colleghi” filosofi, ma chi afferma che i fatti si sviluppano secondo una logica assolutamente autonoma non può poi rappresentare i conflitti finanziari che caratterizzano la nostra epoca come uno scontro di poteri e di forze che rappresentano interessi e categorie sociali, ma deve inevitabilmente configurare la “Crisi” come un episodio della “storia naturale”, uno tsunami finanziario, del tutto simile a quello provocato dai terremoti. È chiaro che in questa prospettiva nessuna interpretazione è possibile di ciò che accade, ma ci si deve limitare soltanto a descriverne oggettivamente i meccanismi che producono il susseguirsi degli eventi come le onde del maremoto.
Siccome ho sempre pensato che non esiste il pensiero puro, ma che ciò che si pensa dipende anche da ciò che si mangia, alle posizioni di Ferraris preferisco quelle di Vattimo che in modo molto esplicito ribatte a Ferraris, e di conseguenza anche ad Esposito e a tutti i neorealisti, innamorati dell’evidenza dei “fatti”, che l’analisi della realtà dovrebbe imporre di individuare i Poteri Forti e il loro tentativo di sopraffare i più deboli e che nella storia della Verità è implicata inevitabilmente la storia del Potere dell’uomo sull’uomo. Non è un puro caso se a questa vera e propria abbuffata di chiacchiere filosofiche corrisponde poi una chiacchiera politica per molti versi analoga. Mentre qualcuno ricorda che c’è una realtà di disoccupazione giovanile drammatica e una corruzione politico-affaristica senza precedenti, la maggior parte delle forze e degli esponenti politici continuano a baloccarsi sulle mille possibili soluzioni con cui è possibile reperire i soldi necessari a comporre la manovra di 45 miliardi che si abbatte sulle nostre vite.
L’indegno balletto del governo che un giorno propone il contributo di solidarietà e l’indomani vuole riformare le pensioni, e l’insistenza dell’opposizione sulla tassa patrimoniale e sulla equità dei sacrifici, hanno in realtà in comune l’idea che tutto si può risolvere facendo un po’ meglio i conti in modo da dare almeno una certa coerenza alla manovra. Ma anche l’opposizione si guarda bene dal ricostruire la vicenda finanziaria come un caso di lotta per il potere tra chi ormai pensa di arricchirsi senza correre i rischi degli investimenti produttivi, e chi invece vorrebbe partire dal dato drammatico della disoccupazione giovanile per riformare l’intero modello produttivo che oggi privilegia le rendite finanziarie e immobiliari sui profitti di impresa e sui salari dei lavoratori. Qual è il volto della rendita oggi? E chi ne manovra gli andamenti? Non è oggetto di alcuna vera analisi economica e politica.
Anche le forze di sinistra considerano lo sciopero proclamato dalla Cigl come un’inutile turbolenza rispetto alla cosiddetta oggettività dei dati economici. Anzi, anche dalla sinistra si sente proclamare la necessità di liberalizzare e privatizzare tutto ciò che oggi costituisce ancora presenza pubblica nell’economia senza chiarire che queste operazioni hanno per lo più significato finora la svendita di pezzi del sistema industriale a stranieri e privati speculatori. Vogliono forse anche gli oppositori di sinistra vendere le Poste, l’Energia, i Trasporti e le Aziende pubbliche a qualche finanziaria francese o a qualche cordata speculativa italiana? Continuo a chiedere scusa ai miei lettori per la complessità delle mie argomentazioni, ma sono sempre più convinto che fino a quando la chiacchiera politico-culturale non si confronta con le condizioni reali della vita delle donne e degli uomini, noi rischiamo di vivere in modo dissociato il rapporto con il nostro mondo reale e la rappresentazione di comodo che esperti intellettuali e opinionisti continuano a propinare ai cittadini sempre più depistati dalle loro reali esigenze.
Non è irrilevante per le prospettive delle nostre vite la questione apparentemente filosofica se i “fatti” si impongono con la loro evidenza fino ad esigere da noi comportamenti ed azioni necessitati dall’oggettività dell’economia, o se viceversa i fatti sono il risultato di nostri comportamenti, e se siamo quindi corresponsabili della realtà in cui viviamo. Non sono convinto che il conflitto faccia male alla democrazia e penso anzi che una lotta seria su tutti i piani contro le nuove forme del capitalismo finanziario-monopolistico, che privilegia la rendita a discapito di profitti e salari, sia la sola via di uscita da una povertà che non è solo economica ma anche mentale. Occorre lottare per pensare ancora.