Illegio è un piccolo borgo, frazione di Tolmezzo, nella Carnia. Qui da sette anni, ogni estate, su iniziativa di un comitato che raccoglie studiosi, appassionati e sostenitori viene organizzata una mostra che obbedisce a un criterio molto coerente: approfondire il dialogo tra la cultura, in particolare quella figurativa, e la fede. I temi delle mostre sono sempre molto suggestivi ed è sorprendente la qualità non solo dei materiali esposti ma anche della rete di collaborazioni di cui ogni volta ci si avvale (evidente nei saggi che accompagnano il catalogo edito da Allemandi).
Ricordo bene la prima mostra dedicata nel 2004 al culto e all’immagine di san Floriano, il santo cui è intitolata la Pieve di Illegio, ma anche veneratissimo nell’Europa centrale: in quell’occasione erano arrivati i due capolavori di Altdorfer dagli Uffizi. Quest’anno il tema scelto da Illegio è un tema tanto evocativo quanto complicato: l’Aldilà. Come nel passato è stato rappresentato ciò che sta oltre la vita? Evidentemente un tema così scontava un grande handicap: le più importanti rappresentazioni sono in genere grandi rappresentazioni murali, che possono andare dal tema del Giudizio Universale alle Danze della Morte.
Ma non è per questo che la mostra di Illegio ha scelto di introdurre il visitatore con una sequenza di soggetti che non sembrano centrare nel senso letterale con il tema. Vediamo infatti alcune bellissime serie di Noli me tangere, di Incredulità di Tommaso, di Resurrezione di Lazzaro. Con questa scelta la mostra sgombra subito tutte le possibili soluzioni equivoche, per quanto tanto in voga nella cultura di oggi. La grande arte del passato aveva infatti metabolizzato un’evidenza: che l’aldilà non è un altro mondo rispetto all’aldiqua. E che qualsiasi visione dell’aldilà che non tenga conto di questo nesso è solo sogno, puro esercizio soggettivistico, per quanto a volte carico di suggestioni. È solo proiezione della nostra capacità immaginativa.
Il percorso della mostra di Illegio invece mette subito in chiaro che l’aldilà può essere credibilmente immaginato solo se se ne è sperimentata un’anteprima (il Vangelo con molto realismo parla di caparra) nel mondo reale. Se abbiamo toccato con mano, come accadde in modo clamoroso con Tommaso, la realtà vivente di qualcuno che ha vinto la morte. L’aldilà quindi cessa di essere una pur bellissima aspirazione per diventare una presenza.
Insomma, cambiano tutti i paradigmi. In quanto presenza è anche raffigurabile, come dimostrano secoli di grande arte che proprio grazie a questa chance di dare un volto al mistero, a quello che tutte le altre tradizioni ritenevamo irrapresentabile, ha potuto sviluppare una storia di grandezza che non conosce paragoni.
Nel percorso della mostra di Illegio c’è un elemento che torna con particolare insistenza, ed è quello del sepolcro rimasto vuoto. Per esempio c’è una bella tavola arrivata dalla Thyssen di Madrid, di un autore tedesco del ‘400, Johann Koerbecke, in cui si vede un apostolo che scruta stupito dentro il sepolcro lasciato vuoto dall’Assunzione di Maria. In quel gesto istintivo e semplice, più ancora che nei volti degli altri apostoli che guardano in alto la Madonna tra gli angeli, c’è la rappresentazione dell’aldilà.
È un gesto che intercetta il desiderio che è nel cuore di ogni uomo (come ha scritto Camus nel Caligola: “ho provato semplicemente una improvvisa sete di impossibile… ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità”): fare un’esperienza grazie alla quale la morte non più è l’ultima parola. Come testimoniano i testi pieni di certezze e di serenità di quelle iscrizioni sepolcrali dei primi secoli cristiani prestati alla mostra di Illegio dai Musei Vaticani.