Etsuro Sotoo, giapponese, scultore e testimone. Discepolo di Antoni Gaudì, genio e artista e cristiano scomparso un secolo fa, autore di quell’opera interrotta e interminabile che è il Templi Espiatori de la Sagrada Familia. Sotoo ha preso in mano i sui progetti, ha appreso il suo modo di guardare, ha scelto la pietra delle cattedrali medievali al posto del legno della sua terra, quelle che hanno costruito l’Europa. Così, dice, ha costruito se stesso, e ha incontrato Gesù Cristo.
«Pensavo di trovare la mia anima dentro la pietra. Dopo più di dieci anni, lavorando centinaia di pietre, ho scoperto che la pietra sono io, io, una piccola parte del tempio cui sto lavorando. La pietra insegna, indica quel che devo fare. Io obbedisco soltanto, come ha fatto Gaudì. Costruendo il tempio ha costruito perfettamente se stesso». È a Roma, capatina ai Musei Vaticani, tanto per guardare a quella bellezza che dalla statuaria classica su su, passando per Giotto e Michelangelo, è arrivata fino al genio di Barcellona. Poi un giro in varie città italiane, ospite di vari centri Culturali, a Bologna, a Milano, Verona, per spiegare “il mistero Gaudì”. Maestro (perché si riconosce la lungimiranza e la visionarietà della guida, in quel nobile e ascetico volto orientale) quell’Europa non esiste più. La Sagrada non a caso è interrotta. Non c’è più un popolo cristiano, non ci sono artisti al servizio della fede. L’Europa stessa sta disfacendosi, nella cultura, e quindi nel suo ruolo autorevole per il mondo. Non ci hanno declassato, ci siamo declassati da soli.
«Ho presente quel che è successo in Giappone. L’età dell’oro, fino agli anni Novanta. Poi lo tsunami, l’esplosione nucleare, la crisi economica. I giovani sembrano non avere più speranza, e questo è il delitto. Sta succedendo anche qui. È colpa della mia generazione, aver strozzato il paese e il futuro dei giovani». Si riparte da cosa? «Parlo del mio modo di lavorare, dal progetto Sotoo. A me tocca trovare degli allievi, una ventina d’anni più giovani di me. A loro volta questi cercheranno dei più giovani da seguire. Una discepolanza. Sembrerebbe per trasmettere io e i miei la nostra arte, il nostro pensiero. Non è così. Per ricevere io, noi per primi le loro domande, la loro felicità. Tocca salvare l’umano, i valori. Che non si comprano col denaro».
Parla di felicità: cos’è, da cosa nasce, come si mantiene, la felicità? «La vera felicità è dare la felicità agli altri, è pensare a un tu. Oggi i social network sembrano facilitare gli incontri, ma è un inganno. L’unico modo per legarmi a un altro è dargli felicità, volergli bene». Dunque, l’Europa è asfittica perché ha perso il desiderio e lo slancio verso la felicità? «La Sagrada Familia si costruisce da 130 anni. Il problema dell’Europa è che non sa più di essere in costruzione, che cosa vuole costruire. Conoscere un problema, significa eliminare il problema. Il vero problema dell’Europa è che non conosce il suo male. È il suo egoismo. Ha perso la sua nobiltà, che consisteva nel chiedere, cercare sempre. Pensa di bastare a se stessa. Un povero, un mendicante, chiede tutto, ha bisogno di tutto e tutto cerca, ma ha l’essenziale, cioè la felicità. La ricchezza è come l’acqua del mare, più bevi e più hai sete, e alla fine ti ammali, e muori nell’aridità».
Tu scolpisci la pietra per dare felicità, per suscitare questa domanda di senso? «Per dare felicità a me stesso, anzitutto. E poi a Dio. Dio è felice quando io lo sono. E io lo sono se sono felici gli altri. Non esiste arte senza amore. La bellezza può esistere da sola. Le arti dell’uomo no, perché non sono fini a se stesse, sono per la società. Non possiamo vivere bene da soli». La bellezza da guardare e cercare qual è? «La bellezza è dentro di noi, non nei musei, perché Dio ci ha toccato il cuore. Il problema dell’uomo europeo è non ricordare la bellezza che ha in sé, aver dimenticato di ascoltare il suo cuore. Siamo in pericolo di estinzione, perché esistiamo non per l’evoluzione della scienza o dell’economia, ma per le domande del cuore. Le leggi, l’arte, la scienza, tutto in Europa è nato da qui».
Le pietre della Sagrada indicano questo cammino? Per questo non finirà mai la costruzione del tempio? «Finirà quando finirò io, e dopo di me ci sarà un’altra generazione. Vede questa giovane studentessa? Lavora con me, lei dipinge. A volte viene voglia di prendere la sua mano e guidarla coi colori. Ma non devo correggerla, perché lei guarda dove guardo io. Sa cosa penso, a cosa mirare. Gaudì è stato questo per me. Io guardavo a lui, e lui era sempre più avanti, sempre lontano. A furia di guardare dove guardava lui, è entrato dentro di me. Il nostro lavoro, tutto il nostro costruire è uno strumento. Per costruire in effetti noi stessi, e la società. Dio utilizza questi strumenti per ridestarci».
Gli chiedo se prega Gaudì, che pure non è ancora santo né beato. «Certo che lo prego, scendo alla sua tomba, quando sono solo. I santi non sono solo quelli sugli altari. Per esempio, don Giussani è un santo. Ho conosciuto il suo movimento 5 anni fa. Posso dire che è un santo e un profeta, perché di tutte le domande che abbiamo in cuore e che avremo, lui sapeva le risposte, le aveva tutte pesate e preparate».
(Monica Mondo)