Non è inusuale che in occasione di ricorrenze o celebrazioni di diverso segno i giornalisti si confrontino con i giudizi degli storici per declinarli nella circostanza. È invece assai raro che i loro articoli offrano al lettore una visione non diciamo oggettiva – un aggettivo dal quale anche gli storici hanno preso le distanze –, ma almeno onesta. Diamo atto che il compito non è facile, come non lo è nemmeno per gli storici di professione, perché nel pensare comune si sono ormai sedimentate incrostazioni a dir poco granitiche. Il medioevo, in particolare, si presta in modo splendido a questo genere di letture e, perché no, di manipolazioni.



Il recente caso della polemica suscitata dalla decisione del presidente francese Sarkozy di recarsi a Donrémy, in Lorena, il paese natale di Giovanna d’Arco, per celebrare il sesto centenario della nascita della Pulzella d’Orléans, offre lo spunto per alcune riflessioni in merito. Giovanna d’Arco (1412-1431) ha un profondo significato nella storia dell’identità francese, giacché fu lei per ispirazione divina a risollevare le sorti del regno di Francia in un momento in cui sembrava che la monarchia fosse giunta alla fine. Giovanna, postasi sorprendentemente alla testa dell’esercito del debole erede al trono, ottenne infatti la strepitosa vittoria di Orléans (1429), alla quale seguì l’incoronazione di Carlo VII, che pose fine alle mire della corona inglese di impossessarsi anche di quella di Francia. Gli Inglesi, peraltro, una volta impadronitisi di Giovanna, non ebbero difficoltà a farla giudicare da un compiacente tribunale ecclesiastico, che la giudicò eretica e la consegnò al braccio secolare che la mandò al rogo. Già Callisto III nel 1456 dichiarò nullo il processo contro di lei e solo Benedetto XV nel 1920 ne sancì la canonizzazione e la proclamò patrona di Francia.



Ebbene. Che cosa si è fatto di tutto questo? Giovanna d’Arco è diventata il simbolo del nazionalismo francese e della difesa de suolo nazionale nei confronti dell’invasore straniero, mentre si trattava solo di rintuzzare le mire della corona d’Inghilterra. E in questo ebbe successo.

Ma con questo passaggio o, se si vuole, con questa manipolazione, siamo ben aldilà della ricostruzione storica, siamo nel campo dell’interpretazione gratuita e finalizzata a sostenere un’ideologia. D’altra parte, la storia da sempre si offre a polisemiche letture, che ne fanno terreno privilegiato di scontro ideologico: basti pensare a quanta parte ebbe una certa interpretazione della storia imperiale romana nel far risorgere un impero “romano” in Occidente con Carlo Magno, oppure a quanto influì una certa immagine del mondo della Roma repubblicana nell’elaborazione delle istituzioni comunali nell’Italia dell’XI-XII secolo. Si intende che su questa via potremmo arrivare fino a Mussolini, ai fasci e quant’altro, solo per rimanere a casa nostra.



All’uso di interpretare in modo arbitrario il nostro passato – ricordo che la storia non coincide tout-court con il passato, ma ne è l’interpretazione critica – si aggiunge il fatto che il medioevo è forse il periodo più ghiotto per procedere a tale operazione: è infatti abbastanza lontano da noi per poterne dare un’immagine a dir poco fantasiosa, ma al tempo stesso è anche vicino a noi, che conviviamo ogni giorno con istituzioni e modi di vivere radicati nel medioevo e che quindi siamo facilitati a immaginarlo. Il fatto di lavorare in una università, per esempio, mi colloca per così dire entro una delle più caratteristiche “invenzioni” del medioevo occidentale, una delle tante che ancora, mutatis mutandis, sono vive ai nostri giorni.

Come già qualche anno fa Giuseppe Sergi denunciava in un intelligente saggio (L’idea di medioevo, Roma, Donzelli, 1998), il medioevo si presta in modo mirabile a una doppia interpretazione: soprattutto il basso medioevo, quello degli ultimi secoli, per intenderci, è idealizzato nei suoi lati positivi e fantastici, quali armi e cavalieri, fate e tornei, e ancor oggi costituisce uno dei periodi più visitati dal folklore nazionale, basti pensare ai vari palii, calendimaggio, celebrazioni di vario genere. Ogni comune italiano, se appena ha un appiglio storico (e se non ce l’ha, sovente se lo crea), esibisce parate e combattimenti in costume (medievale), trombettieri, tamburi e sbandierate. Al tempo stesso il medioevo è considerato il tempo dell’oscurantismo totale, della caccia alle streghe (che in realtà si colloca perlopiù in età moderna), della violenza gratuita dell’inquisizione (sovente non ben distinta da quella spagnola del secolo XVI). Insomma tutto quello che ha un segno negativo dal punto di vista politico, sociale, ecc. è spesso ancor oggi designato come “medievale”.

Lungi dal voler scrivere qui l’apologia del medioevo, quello che voglio far notare è che le diverse letture di uno stesso periodo non ci garantiscono la sua conoscenza, ma ci illustrano piuttosto il pensiero di chi ne dà un’interpretazione.

Veniamo dunque al caso di Giovanna d’Arco e alle accuse a Sarkozy di voler rendere omaggio alla Pulzella d’Orléans solo per guadagnare i voti di destra. Giovanna d’Arco, con buona pace dei politologi più o meno contemporanei, non è mai stata animata da uno spirito nazionalista. Allora non si trattava certo di combattere l’Inghilterra in quanto nazione nemica. La monarchia normanna, che si era affermata in Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore (1066), altro non era che l’espansione di un ducato “francese”, suppergiù coincidente con la regione che ancor oggi porta il nome di Normandia. La dinastia dei Plantageneti, inoltre, proveniva dal continente e quell’Enrico II che sposò Eleonora d’Aquitania era il più importante vassallo del re di Francia, vale a dire controllava una quantità di feudi, la cui estensione superava quella delle terre controllate dal re di Francia: paradossalmente era più “francese” lui del re di Francia. Inoltre, quelli che noi oggi chiamiamo Francesi e Inglesi parlavano ancora la stessa lingua e continuavano a litigare perché, approfittando delle crisi dinastiche del regno vicino, essi avevano sempre cercato di imporre una loro discendenza anche su quello confinante, e potevano architettare tali manovre perché c’erano validi motivi di parentela che avrebbero motivato l’esportazione o l’importazione di un ramo cadetto della medesima dinastia. 

Se dunque solo si passa dagli slogan propagandistici all’esame onesto della realtà storica, si capisce benissimo quanto l’operazione di fare di Giovanna d’Arco l’eroina del nazionalismo francese si screditi da sé. Purtroppo, per meccanismi strani, ma che traggono alimento dal desiderio di offrire soluzioni ‘facili’ a problemi o a rivendicazioni di vario genere – la storia degli untori durante la peste è un efficace esempio di tale tendenza – il sentire comune si lascia più facilmente attrarre da questo genere di risposte, che non si basano certo su analisi serie, ma che vanno incontro all’esigenza un po’ forcaiola di trovare sempre un colpevole. La guerra tra Francia e Inghilterra assunse tinte più marcatamente nazionalistiche solo in età moderna, dopo la Riforma e, in particolare, con il regno di Enrico VIII, quando significativamente anche le due lingue cominciarono a divaricarsi.

Sarkozy fa benissimo a rendere omaggio a questa donna che, guidando gli eserciti del pavido erede al trono, consentì alla monarchia francese di non essere assorbita ed eliminata da quella d’Oltremanica, che però, ripeto, non si sentiva concorrente per interessi nazionali, ma semplicemente per questioni dinastiche. Sarkozy fa bene anche perché questa potrebbe essere l’occasione per “sdoganare” Giovanna dall’immagine falsa che le è stata appiccicata, un’immagine che – orrore! – risulta ancor più compromessa agli occhi dei moderni critici dal fatto che ella fu dichiarata santa, in realtà un atto dovuto, visto il trattamento bieco che le aveva riservato un’autorità ecclesiastica troppo incline ad assecondare il potere politico.