La stella è ciò che è e nello stesso tempo indica qualcosa che è oltre sé. È un oggetto poetico presente in ogni luogo della letteratura. Quando Dio promette ad Abramo la sua alleanza, gli ordina di sollevare gli occhi al cielo: “Guarda le stelle, se le puoi contare. Così sarà la tua discendenza. Gli fa eco il salmista: “Se guardo il cielo che hai costruito, la luna e le stelle che vi hai posto, chi è mai l’uomo, che di lui ti rammenti?



San Pietro, l’umile pescatore di Galilea, che delle stelle vere se ne doveva intendere, raccomanda ai suoi di guardare ai profeti come luce che brilla in un luogo oscuro “finché non sia sorta la stella del mattino nei vostri cuori”. Pescatore divenuto poeta. San Francesco, gli Stilnovisti, Dante, Petrarca, Tasso, Foscolo, Leopardi, Pascoli, Ungaretti: quante stelle nella loro poesia.



Federico Fellini ha lasciato una autentica pagina di umanità nel dialogo tra Gelsomina e il Matto, tratto dal suo capolavoro La strada:

– Mi sono stufata di fare l’artista, sono convinta di non servire a nulla. Sono stanca di vivere. Che cosa ci faccio al mondo?
– Con me faresti l’artista? Io che lo so fare bene ti insegnerei a camminare sul filo degli equilibristi. Gireremmo il mondo. Ti piacerebbe? Tu però che dici di non servire a niente, lo sai che il tuo padrone Zampanò non ti terrebbe un sol giorno se non gli servissi a qualcosa… Forse Zampanò lo fa perché ti vuol bene, solo che ha un caratteraccio! Ma non è colpa sua…
– Poveraccio!
– Eh sì, poveraccio. Se tu non restassi con lui, chi gli resterebbe insieme? Tu dici di non servire a niente; lo sai che tutte le cose che esistono servono a qualcosa? Per esempio anche un sasso?
– Quale?
– Uno qualunque, quello lì per esempio.
– E a che cosa serve?
– Che ne so io? Se lo sapessi sarei il buon Dio. Ma a qualcosa serve. Ma pensaci un po’, se il sasso che è così poca cosa è importante, ti immagini tutto il resto, le stelle…



Anche la poesia popolare delle canzoni napoletane e dei canti alpini, ricorre alle stelle per parlare, con pudore, dell’amore e di Dio.

Sia che le si invochi, sia che le si guardi soltanto, le stelle parlano il linguaggio del silenzio, il più eloquente e il più poetico. Forse solo accarezzando lievemente la testolina di un bimbo addormentato si prova lo stesso stupore e lo stesso rispetto per il mistero della propria piccolezza.

Non sono considerazioni romantiche, se si pensa che solo guardando le stelle gli uomini si sono orientati nel buio del mare, hanno pescato e conquistato terre, hanno dato il nome alle costellazioni inventando leggende, le hanno tramandate con infinite varianti. Basterebbe anche adesso sollevare lo sguardo e forse, benché offuscata dalla luce della città, potrebbe risplendere una piccola stella, a ricordare che non siamo soli, che una luce lontana accompagna la vita dall’altezza inimmaginabile della sua traiettoria. E così potremmo avvertire, come il Matto di Fellini, che hanno un senso le stelle silenziose e gli altrettanto silenziosi sassi in cui si impigliano le nostre faccende quotidiane.