Tat’jana Kasatkina, studiosa di letteratura russa, tra i maggiori esperti al mondo di Fëdor Dostoevskij, ha concluso domenica un ciclo di conferenze che l’ha portata in varie città italiane. A Firenze ha accettato di parlare con Ilsussidario.net della «Leggenda del grande Inquisitore», capitolo-capolavoro del romanzo che Dostoevskij riuscì a concludere poco prima della morte, I fratelli Karamazov. Kasatkina ha appena concluso la conferenza che l’ha vista instaurare un dialogo, improvvisato e coinvolgente, con Gustavo Zagrebelsky proprio sulla Leggenda come «enigma della libertà».



Tat’jana Kasatkina, come ha «scoperto» Dostoevskij?

Noi russi siamo cresciuti in un mondo senza Dio, e l’orrore della realtà ridotta unicamente alla sua dimensione materiale forse non per gli adulti, ma per i bambini è certamente insopportabile. Per me è stato come vivere in una situazione di dissonanza cognitiva, perché ho sempre saputo che dietro l’apparenza c’era qualcosa di «altro», ma intorno a me tutti congiuravano a tacerlo. Quando, per la prima volta, a undici anni, ho letto Dostoevskij, ho capito che quell’uomo parlava di ciò che cercavo da tanto tempo – del fatto che ogni cosa è soltanto l’inizio, una introduzione a qualcosa di eterno. Da quel momento l’ho amato per tutta la vita.



Dove passa la via di Dostoevskij alla scoperta dell’uomo, e che posto ha il male in questa scoperta?

Dostoevskij scopre l’uomo penetrando quel male che egli definisce come «fango sovrapposto». Questo è molto singolare, perché di solito gli scrittori, quando parlano dell’uomo, o si fermano alla superficie di questo fango, o cercano di ignorarlo. Invece, nell’uomo che a prima vista noi rifiuteremmo, Dostoevskij ci mostra Cristo, il volto più bello che ci può essere in un uomo.

Nella «Leggenda» di Ivan Karamazov il bene, di cui l’inquisitore si fa garante e custode, è puro oggetto di potere. Il suo disegno vince o è scardinato?



Se l’inquisitore semplicemente si sbagliasse? Se questa domanda non si ponesse, la «Leggenda» non sarebbe un testo che tutti continuano a leggere e rileggere. Sarebbe troppo semplificativo dire che il grande inquisitore ha solo torto quando descrive la situazione dell’uomo nel mondo. Noi stessi sappiamo come vorremmo rinunciare alla nostra libertà, come vorremmo rinunciare a questa continua responsabilità di dover sempre decidere, come vorremmo avere a nostra disposizione un insieme di regole, consegnandoci alle quali esser certi di stare nel giusto. Per questo dobbiamo ringraziarlo…

Ringraziare l’inquisitore?

Egli difende una tentazione che esiste da sempre, quella di consegnarci alle regole e di rivendicarne la validità per tutti. Chi le rispetta fa la cosa giusta ed è buono, chi non le rispetta è cattivo. Per lottare contro i cattivi che non mettono in pratica le regole, abbiamo tentato di creare paradisi umani che sono diventati degli inferni. Il grande inquisitore ci mostra con rigorosa coerenza non solo tutti i punti deboli della natura umana, ma anche dove porta la strada della nostra tentazione. Per questo dobbiamo «ringraziarlo». In fondo a questa via, l’uomo può trovare soltanto il nulla. Invece l’unica legge del cristiano, dice Dostoevskij, è quella di imitare Cristo.

Gustavo Zagrebelsky nella sua analisi ha notato che queste due figure, Cristo e il grande inquisitore, sono specularmente contrarie. Sono «fratelli e al tempo stesso nemici mortali».

È vero. Il professore ha anche ragione nell’affermare che il grande inquisitore è un seduttore. Aggiungerei: è essenzialmente un seduttore. Cristo è lo sposo della Chiesa dell’umanità, l’inquisitore è il loro «don Giovanni». Essi sono uno più vicino all’altro di due fratelli carnali, proprio perché pretendono l’amore della stessa donna. Io riuscirò a fare quello che tu non sei riuscito a fare – Gli dice l’inquisitore, insistendo sul fatto che l’umanità, la sposa, Lo ha ripudiato.

Gesù non dice parola, ma alla fine bacia il vecchio. Qual è la sua lettura di questo artificio finale di Dostoevskij?

Qui si commette sempre un errore fondamentale. Perché Cristo non tace: al contrario, dice due sole parole, importantissime: talità kumi, «fanciulla, alzati». Le si può capire solo in relazione all’inizio di questo straordinario capitolo, che ha un andamento circolare. All’inizio della «Leggenda» Ivan racconta della madre di Gesù, che si getta in ginocchio davanti a Dio implorandolo di perdonare tutti i peccatori senza eccezione. Quando Dio le mostra i piedi e le mani trafitti del Figlio, chiedendole: Come faccio a perdonare i suoi carnefici?, lei ordina a tutti i santi e gli arcangeli di mettersi in ginocchio con lei e di pregare per tutti. È questo il vero inizio della Leggenda, che finisce col bacio di Cristo. Le due parti parlano della stessa cosa: del fatto che Cristo non ha nemici. Cristo torna sulla Terra per cercare l’umanità come figlia e come sposa. Perciò, quando dice «fanciulla, alzati» non lo sta dicendo solo alla ragazza che giace davanti a lui, ma a tutta l’umanità e a tutta la Chiesa.

Compreso l’inquisitore?

Sì, perché egli non è solo un avversario, ma anche un membro del corpo di Cristo che è la Chiesa. Anche lui «è» questa fanciulla che Cristo e venuto a risvegliare. Per questo, alla fine, lo bacia. Il grande inquisitore lotta contro Cristo, ma Cristo non lotta contro il grande inquisitore; il bacio vuol dire che Cristo è venuto per adottare i propri nemici, per diventare loro fratello. Noi possiamo essere nemici di Cristo, ma egli non può essere nostro nemico. Si può aggiungere: i veri cristiani non hanno nemici; possono combattere solo per qualcosa, mai contro.

Che cosa rappresenta per lei questo testo?

Ha chiarito definitivamente in me una domanda che avevo sul senso della salvezza. Sappiamo che si salverà chi percorrerà la «via stretta», non la «via larga». Ma le spiegazioni che ho sentito per queste espressioni non mi hanno mai soddisfatto, fino a che non ho trovato la risposta nella «Leggenda». Ognuno deve andare a Cristo seguendo la strada che è fatta solo per lui. La via larga mi pare quella delle regole comuni, mentre la via stretta è quella che appartiene solo a me come singolo. Nessuno può fare la mia strada, come io non posso fare quella di un altro.

Perché la «Leggenda del grande inquisitore» è sempre attuale?

Perché non siamo ancora compiutamente cristiani.

(Federico Ferraù)

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