Quante volte poi il riposo notturno mi fa credere vere tutte queste cose abituali, ad esempio che io sono qui, che sono vestito, che sono seduto accanto al fuoco, mentre invece sono spogliato e steso tra le lenzuola!” (Meditazioni metafisiche). Cartesio dunque – almeno secondo quanto dichiarato dai ricercatori dell’università di Bonn che stanno realizzando una specie di test per comprendere se la realtà circostante sia o meno una simulazione di una qualche “intelligenza artificiale” – sarebbe stato, finalmente, smascherato. Dopo quasi quattro secoli, l’uomo potrà riuscire a comprendere se le sue sensazioni, le sue percezioni, tutta la realtà che vive, siano solo il frutto di una fantasia (artificiale, per di più) o abbiano una qualche effettività reale. Questo, almeno, stando alle agenzie di stampa che hanno dato anche in Italia un’ampia informazione (Corriere della Sera, 14 ottobre 2012) di quanto pubblicato sulla Technology Review del Massachusetts Institute of Technology. E, tuttavia, a ben vedere la questione rappresenta un problema ben più complesso di quanto non si voglia far vedere.



I dati presi in esame nella sperimentazione riguardano i femtometri (un milionesimo del più conosciuto nanometro) all’interno di una simulazione di cromodinamica quantistica. Si tratta, cioè, di pervenire alla misurazione e alla simulazione di angoli molto piccoli dell’universo che vengono individuati sfruttando il cosiddetto effetto del CUT-OFF di GZK (dal nome degli scienziati che lo hanno scoperto: Greisen, Zatsepin, Kuzmin) secondo il quale è possibile misurare il limite massimo di energia dei raggi cosmici che viaggiano nell’universo. Trovare l’effetto equivarrebbe vedere una simulazione di questo angolo di cosmo, riprodurlo senza dover ricorrere, necessariamente, alla “fastidiosa” realtà.



Eppure, al di là delle osservazioni di sistema già espresse dagli stessi scienziati, secondo le quali anche un minimo cambiamento del reticolo su cui è costruita la simulazione o uno spostamento infinitesimale della distanza non produrrebbe lo stesso effetto sperimentato, rimane un’osservazione di metodo che già il buon Cartesio esprimeva nel proseguo delle sue Meditazioni metafisiche quando, prendendo spunto dall’arte dei pittori che si adoperavano a rappresentare la realtà nelle forme più fantasiose e inusitate, dichiarava che occorreva ammettere “necessariamente che vi sono ancora delle cose più semplici e universali, che sono vere ed esistenti, dalla mescolanza delle quali, così come dalla mescolanza dei colori veri, sono formate tutte queste immagini delle cose che sono nel nostro pensiero, siano essere vere e reali, oppure finte e immaginarie“.



Noi abbiamo il medesimo problema di Cartesio: definire se quanto abbiamo nel nostro pensiero abbia una qualche corrispondenza con la realtà, o sia solo il frutto di una  immaginazione nostra o di una qualche mente artificiale. Ma il metodo per giungere a una tale comprensione ci è dato, anzi, ci è imposto dall’oggetto. 

Infatti, per capire se il mondo che ci circonda e nel quale viviamo è la simulazione di un’intelligenza artificiale, una specie di realtà virtuale totalizzante, e non la realtà così come appare nella sua semplicità di “dato”, occorre innanzitutto riprendere a cercare il reale per conoscerlo e non il contrario, così come ci ricordava Agostino nei suoi Soliloqui: “cerco per sapere qualcosa, non per pensarlo”. Perché il problema dell’uomo non è – come la modernità ha cercato di affermare in tutte le sue versioni, da quella razionalista o empirista a quella idealista o ermeneutica – verificare il raggiungimento della realtà da parte della ragione, ma il contrario: far sì che la ragione non esca dall’alveo della realtà nella quale siamo totalmente immersi, con buona pace di tutti coloro che sognano un mondo virtualmente perfetto in cui non ci sia più spazio per un gesto di tenerezza, di bellezza, di verità reale.