Ci voleva probabilmente un insegnante per restituire alla letteratura il suo ruolo, che è quello di conservare la sapienza dell’io, così come si è distillata nella storia dell’umanità: le risposte, gli incontri, le intuizioni, le illuminazioni che l’uomo attraverso i secoli ha raccolto e custodisce in uno scrigno di parole che formano, appunto, la letteratura; un tesoro da riproporre continuamente alle nuove generazioni. È esattamente ciò che fa Giovanni Fighera, professore e scrittore, che dal 2008 propone volume di riflessioni letterarie, in cui punta al cuore della questione che consiste proprio in quella presa di coscienza dell’io.
L’ultima tappa di questo impagabile lavoro è il libro “Che cos’è mai l’uomo, perché di lui ti ricordi?” (Ares, Milano 2012, pp.240, euro 15.00). La questione che l’autore ritiene fondamentale lo porta a dire che, senza il Mistero, il mondo è più piccolo e assurdo, soprattutto la parte più interessante del mondo, cioè la persona, delineando in tal modo la situazione di impasse e disagio dell’uomo contemporaneo. Al presente Giovanni Fighera arriva ripercorrendo la storia della cultura occidentale fin dall’antichità ed usando i testi letterarî di tutti i tempi come prove determinanti di ciò che l’uomo ha pensato e detto di se stesso in rapporto col mondo e con la verità. È un uso vivo e reale dei testi, i cui autori sono interlocutori presenti di un dialogo in atto oggi; evidentemente affinate dal fuoco dell’insegnamento, dall’esperienza quotidiana di proporre gli autori ai ragazzi ed affrontare per mezzo di questi le stesse domande.
Ciò che la letteratura dice di noi oggi non è confortante. Già cento anni fa, ricorda Fighera, “tre artisti, Pirandello, Van Gogh, Munch, anticipano in diverse arti quella percezione di crisi dell’uomo che caratterizzerà gran parte dei decenni successivi. Un uomo che è inerte, angosciato o addirittura paralizzato” e aggiunge: “Tanta letteratura del Novecento documenta questa difficoltà o impossibilità a raggiungere la verità, il Mistero della realtà. Se non c’è una verità o se essa non è da noi conoscibile, non è possibile una reale comunicazione tra gli uomini”. Acuta anche l’intuizione sul danno portato da nuove e attuali ideologie, come l’ecologismo o la preminenza assoluta dell’economia e della finanza nelle scelte persino della politica: “Non c’è proprio più nulla che possa distinguere l’uomo dalla bestia e l’homo religiosus è definitivamente ridotto a homo oeconomicus. L’uomo non è più domanda di Infinito, esigenza di felicità, di amore, di bellezza, ma è materia pensante. Anche la natura del desiderio è così ridotta alla stregua dei bisogni materiali”.
Nella parte finale il libro tenta di scorgere le strade per un possibile riscatto dell’umano, così privato delle sue istanze migliori. Il desiderio suscitato dall’impatto primario con la realtà, che non è solo “fanciullesco”, così come lo stupore, come dice la citata Teresa di Lisieux, apre una effettiva possibilità di riscatto e ripartenza: “Lo stupore non ci fa fermare all’immagine immediata, ma ci sprona ad andare oltre l’apparenza, a cogliere per così dire l’oltranza, il significato, la ragione, la provenienza di ciò che vediamo e che accade. Allora l’atto della conoscenza diventa un impeto, un movimento, una tensione e una propensione verso il Mistero che si coglie nella realtà e che si desidera conoscere. Chi mi ha regalato questi fiori? Chi mi ha dato la Luna piena così splendente in cielo, da guardare? Chi ha creato la bellezza del mondo? Quando è guardata con stupore la realtà viene colta come segno e, in un certo modo, come via veritatis, strada per la verità. Lo sguardo stupito fa cogliere nella realtà un’unità profonda, un Mistero che accomuna tutto”.