Giovedì 27 settembre è morto lo storico Piero Melograni. Nato a Roma nel 1930, ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Perugia dal 1971 fino al 1996. In quell’anno fu eletto deputato alla Camera nelle liste di Forza Italia, insieme ad altri intellettuali italiani, tra i quali Lucio Colletti, Vittorio Mathieu, Marcello Pera, Saverio Vertone. Il suo impegno politico si concluse nel 2001, mentre quello di studioso e di saggista è proseguito ininterrotta fino in tempi recentissimi. 



Il suo contributo storiografico è stato ricordato inei giorni scorsi sulle pagine dei più importanti quotidiani italiani, ad alcuni dei quali collaborò per lungo tempo. Con i suoi saggi, Melograni ha proposto nuove chiavi interpretative degli avvenimenti che hanno segnato il XX secolo: la prima guerra mondiale, il fascismo, il comunismo, le trasformazioni della società italiana. Fenomeni che Melograni collocava nel quadro più ampio del processo di modernizzazione messo in moto dalla rivoluzione industriale a cui le società, questa la sua tesi, ancora non si erano culturalmente adattate. E poi la traduzione italiana della Psicologia delle folle di Gustave Le Bon, e quella in italiano moderno del Principe di Machiavelli.



Piero Melograni era un profondo conoscitore della storia contemporanea, ma aveva anche il pregio di saperla raccontare in maniera avvincente. A tutti. Con la collaborazione di altri autori, metodicamente, ha passato al setaccio i filmati conservati negli archivi e nelle cineteche e realizzato prodotti multimediali che hanno riscosso un grande successo di pubblico. Negli ultimi anni, riscoprendo una sua passione giovanile, la musica (diceva di sé che era un bass baritone mancato). Come altri suoi saggi, le biografie di Mozart e di Toscanini sono state tradotte in varie lingue. 

Non spetta certo a me formulare un giudizio storiografico sull’opera di Piero Melograni. Su questa materia si cimenteranno gli addetti ai lavori. Vorrei invece raccontare dell’incontro con lui attraverso due episodi.



La prima volta che vidi Piero Melograni fu nell’estate del 1982. Gli esami di maturità erano appena terminati e stavo considerando di iscrivermi all’università. Non senza qualche esitazione, perché nel frattempo avevo ricevuto alcune offerte di lavoro. 

Così, decisi di andare a Perugia per farmi un’idea. Gli esami delle discipline storiche si tenevano al terzo piano della Facoltà di scienze politiche. Il primo studente si era appena seduto. Non ricordo più di cosa iniziarono a parlare. Ho invece un ricordo indelebile del modo con cui Melograni condusse quell’esame. In maniera pacata, affabile, sviluppò con lui un dialogo. Dialogò di storia con tutti gli studenti della mattinata. Non era interessato a valutare soltanto la loro preparazione. Gli premeva conoscere se e quale giudizio personale avessero maturato studiando un certo avvenimento storico. Dal modo in cui poneva le domande si capiva che l’esame era lo spunto per riflettere ad alta voce. Le domande erano sì rivolte agli studenti, ma anche a se stesso. 

Lui, Melograni, quegli argomenti li conosceva a menadito, chissà quante volte aveva posto quelle domande. Gli studenti si avvicendavano eppure la sua attenzione non scemava. Era proteso a quello che dicevano gli studenti. Quella mattina presi la decisione: mi sarei iscritto a scienze politiche a Perugia e mi sarei laureato con Piero Melograni.

Dovetti attendere il terzo anno per frequentare il corso di storia contemporanea. A lezione, ci mostrava il suo personale modo di porsi davanti gli accadimenti storici, le fonti di archivio, le testimonianze dei protagonisti. Leggeva molte biografie. Lo aiutavano ad immedesimarsi nei protagonisti delle vicende storiche che studiava, a comprenderne i tratti psicologici e caratteriali, a capirne i ragionamenti e i comportamenti. Ma, ciò che più colpiva era l’inesauribile curiosità con cui si poneva e ci poneva domande. Un esercizio continuo di apertura della ragione di fronte alla realtà, declinata secondo il metodo storico. 

Alcuni episodi sono rivelatori della stima e della considerazione che aveva verso i suoi studenti. Quando intervenivamo lui talvolta prendeva appunti. Non avevo mai visto un docente universitario annotare ciò che diceva uno studente. Solitamente accade il contrario. Non solo, se uno studente gli poneva una domanda molto specifica, capitava che lui ammettesse di non potergli rispondere al momento, e si impegnava a documentarsi per rispondergli, con cognizione di causa, la lezione successiva. Nell’aula c’era una lunga lavagna. Un giorno paragonò tutto quello che c’era da sapere su un determinato argomento storico con la superficie di questa lavagna. Poi si alzò, andò alla lavagna, prese un gessetto e disegnò in un angolo della lavagna un piccolo quadrato e disse: «Questo è quello che tutti gli storici, messi insieme, conoscono di quell’argomento». Infine, disegnando un punto all’interno di questo quadrato aggiunse: «Questo è quello che io so di quell’argomento». 

Non aveva certo ansie da prestazioni accademiche. Il senso di questo atteggiamento, lo spiegò congedandosi dai lettori di un settimanale per il quale aveva tenuto una rubrica: «Ogni storico onesto – scriveva Melograni, nel 1987 – deve infine fare un’ultima e penosa confessione, vale a dire che perfino la ricostruzione esatta e completa del passato è pressoché impossibile. Per rendersene conto si pensi al fatto che ciascuno di noi non è in grado di ricostruire in modo esatto e completo il suo stesso passato». Ovvero, la realtà ci deborda da ogni lato. 

Nel Museo del Duomo di Ferrara è conservata la statua di Jacopo della Quercia che raffigura una Madonna con Bambino. La Madonna tiene in mano una melagrana aperta. Nella nostra cultura, questo frutto è simbolo di fecondità. Così è stata la vita di Piero Melograni, prolifica come studioso e come maestro. Sono certo che giovedì quella mano lo ha afferrato. Quando il fiume del tempo umano sfocerà nell’eterno non ci sarà più bisogno degli storici, ma di bass baritone sì.